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domenica 4 marzo 2012

In nomine Domini 4


Le case di piacere erano molto diffuse allora a Roma. Non solo erano tollerate ma addirittura incoraggiate e protette dai papi perché, assieme alle elemosine dei pellegrini, costituivano uno dei cespiti maggiori delle entrate dello Stato. In ognuna di esse, infatti, c'era un gabelliere che ne controllava l'attività e calcolava l'ammontare che doveva essere quotidianamente versato alle casse di San Pietro. Quella di Sigonia era la casa più rinomata di Roma, frequentata da nobili ed alti ecclesiastici, i quali spesso si riunivano in quel luogo di piacere per decidere i destini della Chiesa.

Alberico da un po' di tempo ne era diventato un assiduo frequentatore, sia per dar sfogo alla sua giovanile lussuria, sia per incontrare uno strano personaggio di nome Curiazzo, che amministrava il bordello assieme a Sigonia. Era costui un uomo avanti negli anni ma ancora agile e sveglio e in possesso di un'oratoria appassionata e travolgente. Avendo assistito personalmente a quasi tutti i grandi avvenimenti della città, era considerato la memoria storica di Roma. Ad Alberico era stato indicato da Pacomio, imbarazzato dalle frequenti domande del giovane sul passato, piuttosto scandaloso, della sua casata.

Curiazzo non sapeva che il giovane, che da qualche tempo frequentava la casa, fosse nientemeno che il figlio di Marozia, la padrona incontrastata di Roma, e il fratello del papa Giovanni XI, ma ultimamente era diventato sospettoso nei suoi confronti per le troppe frequenti domande che riguardavano la famiglia Teofilatto. 

Finché si trattava di raccontare le vicende degli ultimi papi, anche scandalosissime, non aveva remore perché queste erano di dominio pubblico, ma rivelare i panni sporchi e i molti scheletri nell'armadio della più potente famiglia di Roma, poteva comportare qualche grosso rischio. Così si era pentito di aver confidato al simpatico giovane, che lo ascoltava rapito, che Teodora, la madre di Marozia, era stata conosciuta dal senatore Teofilatto proprio in quel bordello, passando in brevissimo tempo da meretrice a senatrice. 

Perciò quella sera evitò ogni domanda insidiosa del giovane, e tra una coppa e l'altra di vino, su richiesta di alcuni clienti raccontò per l'ennesima volta, ma sempre con un nodo alla gola, quello che era il suo pezzo forte: la storia del sinodo cadaverico, al quale egli aveva assistito come testimone e suo fratello, il diacono Filippo, come uno dei protagonisti.

Quell'avvenimento, pur lontano nel tempo, era accaduto infatti trentacinque anni prima, era ancora molto forte nella memoria collettiva del popolo, tale era stato l'orrore che aveva suscitato in chiunque.  

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)