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martedì 3 dicembre 2013

La triplice morte del povero Giuda (seguito) 93

Nel II secolo il Vescovo Papias, uno dei «padri apostolici», espone una fine ancor più raccapricciante di Giuda, esplicitamente negando anzitutto che il traditore fosse morto impiccato. Secondo quest’altra versione egli sarebbe diventato talmente grosso da assumere l'aspetto di un mostro di dimensioni enormi.

Espellendo materia purulenta e vermi, col membro virile cresciuto a dismisura, crepò dopo inenarrabili tormenti in un luogo in cui, da allora in avanti, regnarono aridità e deserto. "Fino al giorno d’oggi - cioè dopo cent’anni e passa", così affermava il Vescovo Papias, "nessuno può passare per quella landa senza turarsi il naso, tanto è intenso il fetore della sua carne anche sopra la superficie di quel suolo».
Come lasciano supporre tali versioni contraddittorie, la storicità di Giuda è assai dubbia; potrebbe essere un’allegoria personificata del Giudaismo traditore di Gesù, come suggerisce anche il suo nome di Iskariotes (uomo della menzogna).

A proposito delle profezie c'è da rilevare che nella storia della Passione si trova un passo, che molti critici ritenevano una notizia, a dir vero inspiegabile, fornita da un testimone oculare allo stesso Marco. Si tratta della citazione di un giovane, che seguì Gesù anche quando tutti gli altri erano già fuggiti. Marco, e soltanto lui, a proposito di questo personaggio scrive che «indossava sul corpo nudo solo un mantello di lino; essi lo presero, ma quegli lasciò scivolai via il suo manto, e scappò nudo» (Mc. 14, 51 sg.).

Questo episodio è risultato assurdo e incongruo a tutti gli studiosi, incapaci di trovare una spiegazione men che logica per un fatto del genere. Ma il teologo Loisy ha trovato un riferimento a quanto narrato da Marco, nel versetto in Amos 2, 16: «Il più forte tra i forti nudo fuggirà in quel giorno, come dice il Signore». Ecco forse spiegato l'enigma. Sulla storia neotestamentaria della Passione i racconti veterotestamentari, la martirologia ebraica e il patrimonio religioso pagano, ebbero un'influenza senz'altro determinante.


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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)