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martedì 11 marzo 2014

La rottura definitiva tra cristiani giudei ed ellenisti.121

Secondo il punto di vista comune della ricerca critica, nella comunità primitiva i due gruppi si trovarono fin dall’inizio l’uno accanto all’altro, ma assolutamente indipendenti e ciascuno con una propria amministrazione. Le scintille tra i due gruppi dovevano essere piuttosto frequenti e avrebbero portato sicuramente ad un certo scisma che non si attuò solo perché «a Gerusalemme il terreno divenne tanto scottante sotto i piedi degli ellenisti, che furono costretti a fuggire». Questa fuga conferma irrefutabilmente la spaccatura della comunità primitiva giudaica con la sua componente ellenistica più vicina al paganesimo e antisinagoga e per questo divenuta malvista dai giudei.

Dopo la lapidazione del proprio portavoce Stefano, accusato di «bestemmiare contro Mosé», vale a dire di aver attaccato il Tempio e la Legge, la comunità ellenistica subì un periodo di persecuzione, come ci conferma anche Paolo nelle sue Lettere, e fu costretta ad abbandonare precipitosamente la città. Gli ellenisti, come raccontano ancora gli Atti, fuggirono in Fenicia, a Cipro e in Antiochia, e diedero poi inizio, quando Paolo ne divenne il capo indiscusso e carismatico, al nostro cristianesimo attuale. Così il cristianesimo cominciò a diffondersi anche tra gli ebrei della diaspora che erano circa tre milioni sparsi nelle varie contrade dell'impero romano ed erano rimasti, più o meno, fedeli all'osservanza della legge ebraica.

Il gruppo apostolico, invece, fedele alla Legge giudaica e ligio ai riti religiosi del Tempio, fu lasciato tranquillo, godendo - come raccontano ancora gli Atti degli Apostoli - di pace «in tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria» (Cfr. Atti, 8, 1; 8,4; 11,19, 31). Protetti dai farisei e dal loro capo Gamaliele, che li stimava per la loro ligia osservanza della Legge, i cristiano-giudei durante questo periodo di tranquillità poterono incrementare i loro i proseliti fino a raggiungere alcune migliaia.

Ma nel 44, quando Agrippa I, nipote di Erode il Grande, fu nominato dall'imperatore Claudio re della Giudea e del territorio dello zio, il tetrarca Filippo, avvenne una dura repressione anche nei loro confronti. Appena insediatosi come re di Gerusalemme, costui, già intimo amico di Caligola, si alleò coi sacerdoti del Tempio nell'intento di reprimere con durezza ogni gesto d'insofferenza del popolo contro i romani. Così, si diede ad arrestare e a uccidere zeloti e messianisti ed anche i seguaci di Gesù, equiparati a questi ultimi e sempre odiatissimi dai grandi sacerdoti e dagli erodiani.

Si riteneva, infatti, che il loro movimento predicasse la rivolta contro la casta sacerdotale e il disprezzo verso le autorità costituite, in quanto affermava che lo stato di cose di allora sarebbe presto finito per far posto alla realizzazione messianica in cui Gesù sarebbe tornato come re per governare lo Stato dei Santi.

Tra i molti arrestati ci furono Simon Pietro e Giacomo, figlio di Zebedeo e il fratello di costui Giovanni. Giacomo, e forse anche Giovanni, furono giustiziati di spada (condanna che presupponeva un'accusa politica) per ordine del re, mentre Pietro riuscì a fuggire dal carcere. La persecuzione non durò molto perché Agrippa I morì poco dopo e Simon Pietro poté rientrare a Gerusalemme. Da allora i cristiano-giudei a Gerusalemme non furono più molestati.


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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)