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giovedì 2 febbraio 2017

Comportamento delle autorità pagane durante le persecuzioni. 295

Durante le persecuzioni gli Imperatori e i governatori fecero il possibile per evitare la grana dei processi ai cristiani. Molti funzionari furono assai prudenti nel formulare le accuse e, in molte occasioni, tentarono in tutti i modi di ricorrere a compromessi per smontarle. Talvolta si preferiva lasciar andare gli accusati, come dimostra il comportamento magnanimo di Stazio Quadrato col vescovo Policarpo.

Quindi i governatori delle province si sforzavano di evitare i martìri, trattavano amichevolmente gli indiziati condotti loro di fronte, tentando di convincerli a fingere almeno di rinnegare la propria fede. Nei casi di cristiani ostinati, si concedevano loro periodi di riflessione e si suggerivano scappatoie giuridiche per ottenere l’assoluzione, senza dover tradire la propria fede. I cristiani erano puniti semplicemente come perturbatori dell’ordine per cui molte accuse furono lasciate semplicemente cadere perché ritenute poco importanti.

Negli ultimi quattro decenni del III secolo i cristiani godettero di una totale tranquillità. I loro vescovi si riunivano indisturbati nei grandi sinodi e la loro carica era diventata così influente e lucrosa, che per ottenerla col suffragio dei fedeli, gli aspiranti spesso ambiziosi e animati da brama di potere, si contendevano l'episcopato con violentissimi tumulti, lasciando nelle chiese perfino
dei cadaveri.

Anche la corte imperiale pullulava di cristiani, che potevano salire fino ai più alti incarichi statali e che vennero espressamente sciolti dall’obbligo del sacrificio. Durante uno scontro ecclesiastico, tutto interno alla Chiesa, avvenuto in Antiochia nel 272, venne persino chiesto l'intervento delll’imperatore Aureliano. Dappertutto sorgevano pompose basiliche cristiane: solo a Roma se ne contavano più di quaranta. Il cristianesimo era diventato, sotto tutti gli effetti, una "relIgio licita" quasi equiparata alle altre antiche religioni.

Fin dalla fine del II secolo i vescovi avevano tutto il potere nelle loro mani: economico (raccolta delle offerte per i più bisognosi), giuridico e pastorale (celebrare l'eucaristia, ammettere nuovi fedeli, somministrare il battesimo e così via); inoltre erano inamovibili fino alla morte e governavano la loro comunità come monarchi assoluti. Disponevano, ad libitum, di tutte le entrate e le donazioni della comunità, senza dover render conto a nessuno del loro operato, se non al buon Dio, e vivevano spesso nel lusso. La Chiesa si era già mondanizzata.


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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)