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venerdì 22 novembre 2013

La prova delle profezie (Parte terza) 90

Non fu affatto facile per i cristiani delle origini provare che la morte infamante di Gesù sulla croce e poi la sia resurrezione trovassero riferimenti profetici nell'Antico Testamento giacché la Bibbia ebraica non contempla nulla di simile. Ma tali profezie erano assolutamente necessarie e non trovandole bisognava inventarle. Così il Padre della Chiesa Ireneo nel Salmo. 20, 5, e Salmo 3, 6 disse di individuarvi un’allusione alla Resurrezione, rispettivamente nelle parole: «Da te chiese la vita, e tu gliela donasti» e «.. io fui risvegliato, perché il Signore è il mio soccorso».

Per la Resurrezione nel «il terzo giorno» oppure, come sovente si suol dire più comunemente, «dopo tre giorni», e dunque il quarto giorno, Tertulliano trovò lo spunto dal profetra Osea ( 6,2): «Dopo due giorni ci guarirà, il terzo giorno risorgeremo e vivremo davanti a lui». Ma a questo proposito vennero utilizzati anche altri passi scritturali, soprattutto la permanenza di tre giorni di Giona nel ventre della balena. Inoltre si ricorse alla tradizione degli dèi pagani, che, come Attis, definito in uno scritto antico «l’onnipotente risorto», come Osiride e molto probabilmente anche Adone, che erano risorti il terzo giorno o dopo tre giorni.

Un problema particolarmente difficile era costituito dalla morte di Gesù, che non trovava riscontri nel Vecchio Testamento. ed era l’elemento decisamente più scandaloso perché assolutamente contrastante con la concezione ebraica della figura del Messia. I primi cristiani per questo la sentirono inizialmente come una vera e propria catastrofe e la fine di qualsiasi speranza. .Ma alla fine anche il mysterium crucis venne risolto: la morte di Gesù era profetizzata, secondo quest’ottica assurda, nel quarto libro di Mosè, in una mucca rossa, che il sacerdote Eleazaro dovette macellare e gettare nel fuoco per ordine divino.
Il Padre della Chiesa Tertulliano vide profetizzata la trave della croce nelle corna di un liocorno citato nel quinto libro di Mosè. Un altro scrittore neotestamentario scorse un’allusione al sangue di Cristo nel sangue dei caproni e dei vitelli macellati nel Vecchio Testamento.

La cristianità primitiva superava l’orrore della morte sulla croce, unicamente mediante un’esegesi estremamente libera, per non dire demenziale su quanto era stato profetizzato nella vecchia Bibbia, benché in modo spesso oscuro e incompleto. Il Padre della Chiesa Gregorio di Nissa riconosce che rendere «digeribile il pane duro e refrattario della Scrittura» era un'impresa quasi disperata. Ad esempio egli dichiara che , nel Vecchio Testamento. . riconosceva «con evidenza il Padre», ma solo «indistintamente il Figlio».

In tutte le parole dei Profeti era dunque possibile individuare allusioni a Gesù, soprattutto in quelle più oscure. Però agli stessi cristiani le «profezie» della morte sulla croce non erano del tutto sufficienti, tanto che nel Il secolo Giustino sostenne che gli Ebrei avrebbero cassato dalle loro scritture una profezia esplicita della croce, per sottrarre ai cristiani importanti elementi probatori. Ma in realtà, invece, furono proprio i cristiani a introdurre di soppiatto questi passi nel testo greco del Vecchio Testamento per disporre di ulteriori profezie adempiute.


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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)