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giovedì 17 novembre 2016

Il rifiuto del sacrificio alle divinità imperiali. 284

Il crimine più grave, però, di cui erano accusati i cristiani, riguardava il rifiuto del sacrificio alle divinità imperiali. I romani attribuivano al favore di queste divinità i propri successi militari e politici e ritenevano il sacrificio loro attribuito una manifestazione di patriottismo. Chi si sottraeva diventava nemico della comunità e metteva in pericolo la stabilità dello Stato. L'ordine di sacrificare alle divinità imperiali era quindi un atto di lealtà politica che doveva garantire l’unità interna dell’Impero e non intaccava minimamente l’esercizio libero della religione personale. Ma per i cristiani l’apoteosi di una persona umana era impensabile e considerato un atto di apostasia.

Quando nuclei sempre più numerosi di cristiani si opposero al culto imperiale, scattarono inevitabilmente le persecuzioni che non rivestirono mai un carattere religioso ma esclusivamente politico. In realtà fino al governo di Caracalla (211-217) l’odio verso i cristiani derivò più dal popoio, che li respingeva istintivamente, che dall’iniziativa di imperatori o governatori. Eppure le autorità, in assenza di dati di fatto probanti, non prestavano fede ai racconti popolari che attribuivano ai cristiani tutto il male possibile, solitamente incesto, omicidi rituali, cannibalismo, tant’è che non costituirono mai oggetto di procedimenti giudiziari. Ma il rifiuto del sacrificio agli dèi era considerato un atto fondamentale per ogni suddito dell'Imparo. Allora stato e religione, per i cristiani due mondi diversi, per i Romani erano strettamente connessi in quanto attribuivano al favore degli dèi i propri successi; favore strettamente legato al compimento di precisi atti sacrali.

L’intera vita pubblica era per questa ragione accompagnata da cerimoniali religiosi: il sacrificio, il punto centrale della religione romana, era una pietra di paragone della disciplina civile e della lealtà politica e la partecipazione ad esso era obbligatoria. Per altro era ovvio che ciascuno potesse invocare gli dèi che più gli fossero stati a grado e andare alla ricerca della propria salvazione personale dove gli paresse e piacesse. Ciò valeva in linea di massima anche per i cristiani.


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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)