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giovedì 24 novembre 2016

Per i cristiani l'apoteosi del simulacro dell'imperatore rappresentava l'apostasia. 285

Le ordinanze degli imperatori di sacrificare agli dèi non erano dirette contro il cristianesimo in quanto tale, né venivano emanati a esclusiva difesa dei culti pagani, si prefiggevano semplicemente l’unità interna dell’Impero e lasciavano intatta la libera manifestazione della propria religiosità. Anche durante le persecuzioni più dure, quella di Diocleziano ad esempio, la coazione statale si concentrò esclusivamente sull’adempimento del sacrificio prescritto dalle leggi, e ci limitò a punire il rifiuto di tale adempimento, mai l’esercizio libero della religione cristiana. Tant’è vero che anche in quella circostanza le chiese, già molto diffuse a Roma, continuarono ad essere frequentate dai fedeli e conservarono intatti propri diritti patrimoniali.

Per i cristiani l’apoteosi di una persona umana era impensabile, benché ne avessero già compiuta una divinizzando Cristo e accogliendo nel suo culto parecchie forme proprie del culto imperiale. Quindi, se un cristiano consumava il sacrificio davanti al simulacro dell’imperatore, anche solo bruciando un po' d'incenso, la Chiesa considerava tale atto un’apostasia. Ma se un cristiano rifiutava il sacrificio, le autorità e il popolo sentivano il fatto come sacrilego e lesivo della maestà imperiale. E quando nuclei sempre più numerosi si opposero culto imperiale, lo Stato vi scorse la dissoluzione dell’energia vitale della nazione, cioè la distruzione dell’intero ordinamento della vita romana e scattarono le persecuzioni.

Le dieci persecuzioni, millantate dalla Chiesa, ebbero tutte breve durata e causarono un numero relativamente basso di martiri autentici. Ce lo confessa Origene quando dichiara che il numero dei martiri cristiani «è piccolo e facile da contare» (Origene, Contra Celsum). Durante le persecuzioni la maggior parte dei cristiani si salvò spesso con la fuga, molti però abiurarono, soprattutto sotto la persecuzione di Decio. Questa fu la prima persecuzione generalizzata e pianificata.


Decretata nel 250 allo scopo di procedere al sequestro dei numerosi beni ecclesiastici, considerati illegali in quanto la Chiesa non aveva personalità giuridica, suscitò molto panico ma le sentenze capitali furono piuttosto poche. Molti cristiani abiurarono (lapsi) sacrificando davanti ai simulacri degli dei e dell'imperatore, altri si limitarono a gettare l’incenso sulle braci e infine, i più furbi, conosciuti col nome di libellattici, ottennero con la corruzione un falso attestato di sacrificio o fecero sacrificare dai propri schiavi al loro posto. Solo pochi affrontarono il martirio o si mimetizzarono in luoghi solitari. I cristiani infedeli si pentirono e tornarono a schiere nel seno della Chiesa, che si affettò a cancellare il peccato di apostasia.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)