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venerdì 25 agosto 2017

Peccato e redenzione n.12


La Bibbia ci presenta Dio come un padre amoroso che ha creato Adamo ed Eva per renderli partecipi della sua gloria e della sua beatitudine. Infatti assegna loro il Giardino dell'Eden, una specie di paradiso terrestre. Dovrebbe essere pago di vederli felici mentre scorrazzano per quel meraviglioso giardino in compagnia degli animali tutti docili e mansueti. Ogni padre lo sarebbe vedendo i suoi figli trascorrere le giornate nel più sereno e felice dei modi. Invece a lui ciò non garba affatto.

E cosa fa allora questo Dio stravagante? Si inventa di sottoporre le sue creature ad una prova, pur sapendo, avendo anche l'attributo dell'onniscienza, che la falliranno. Si può essere più malvagi di così? Voi vi comportereste in tal modo con un vostro figlio? Solo un padre snaturato potrebbe farlo. Perché sottoporre il figlio ad una prova senza senso e per di più a sicure conseguenze funeste e tragiche, è una forma di efferata malvagità. Quindi questo chimerico Dio, stando alla favola, non ha creato Adamo ed Eva per amore ma per soddisfare i suoi sadici istinti di vendetta. Un Dio mostruoso che, stando alla Bibbia, si rivelerà crudele e sanguinario. Infatti punirà Adamo ed Eva non solo cacciandoli da quella specie di paradiso terrestre in cui li aveva collocati, ma togliendo loro l'immortalità e rendendoli vittime del dolore e della morte, compresi tutti i loro discendenti, per infinite generazioni.

La trasmissione della colpa e quindi del castigo a tutti i discendenti rappresenta la massima incoerenza di Dio. Il peccato di due antenati non può ricadere sull'intera specie. Non è plausibile che uno sbaglio soggettivo diventi collettivo. Se è inaccettabile il passaggio di responsabilità da un padre a un figlio, a maggior ragione lo è da una generazione all'altra. Una ragione lapalissiana per dichiarare improponibile un Dio così malvagio, incoerente e assurdo.

Proseguendo nella lettura della Genesi scopriamo che questa favola sumerica s'ingarbuglia sempre più e si arricchisce di continue e assurde contraddizioni che certificano ancor di più la sua intrinseca falsità. Vediamo un esempio. Sappiamo che Adamo ed Eva, dopo la cacciata dal Giardino dell'Eden ebbero due figli: Caino e Abele e che Caino, per invidia, uccise il fratello. Se diamo per acquisito che la coppia primigenia (Adamo ed Eva) non simboleggia l’umanità, intesa come comunità di viventi, ma l’unione di due singoli individui creati da Dio, come spiegare che dopo l’uccisione di Abele, Caino viene condannato a vagare per la Terra per sfuggire alla disapprovazione degli uomini? (Gen 4,14: “Ecco, tu (Dio) mi scacci oggi da questo suolo e io mi dovrò nascondere lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere”). Ma, perché nessuno lo colpisca, il Signore gli impone un segno. Chi mai poteva essere quel “chiunque mi incontrerà” tanto temuto da Caino se in quel momento oltre a lui c'erano solo i suoi genitori?

II racconto prosegue (Gen 4) dicendo: “Ora Caino si unì alla moglie che concepì e partorì Enoch; poi divenne costruttore di una città, che chiamò Enoch, dal nome del figlio.” Da dove salta fuori la moglie di Caino? E come fa egli a costruire da solo una città? E per chi? Queste incongruenze così palesi sono la conferma che tutto il racconto biblico è falso e illogico.


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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)