Le
nequizie del cristianesimo
La
quasi totalità dei credenti è fermamente convinta che senza la
religione gli uomini sarebbero dei bruti, immersi nella malvagità
e nel crimine. Si tratta di uno stupido luogo comune, alimentato ad
arte dai capi religiosi, ma sconfessato dal fatto che son proprio le
religioni con le loro intolleranze, coi loro assolutismi, coi loro
integralismi, a violare i più elementari principi morali e a rendere
grama e infelice la vita dell'uomo. Così, ad esempio, il
cristianesimo millantando di aver ricevuto i principi morali da
Dio, ci impone cervellotici divieti comportamentali che negano la
nostra libertà; coartano i sani istinti della natura con la
sessuofobia; ostacolano ogni sana gioia di vivere esaltando la
penitenza, l'astinenza e la rinuncia alle gioie della vita; infine,
ci impediscono di utilizzare alcuni strumenti e metodi utili alla
nostra salute fisica (profilattici, contraccettivi, cellule
staminali, fecondazione assistita e così via) e disturbano il nostro
equilibrio mentale, inventando maniacali sensi di colpa e
minacciandoci di eterni castighi divini. Insomma, con le sue
assurde verità di fede, ci impone una morale spesso distorta, falsa
e ipocrita, mai derivata dalla natura genuina dell'uomo, ma
dedotta falsamente da un'entità superiore, chiaramente inventata. È
risaputo, anche da individui dotati di modesta cultura, che la
civiltà greco-romana, tramite i suoi letterati e filosofi, aveva
elaborare una morale rispetto alla quale quella cristiana
impallidisce. Quindi, non c’è nessun collegamento tra il senso
umano del bene e del male e l’esistenza di una qualsiasi divinità
soprannaturale.
La
morale cristiana, infatti, è di tipo egoistico e materialista, un
“do ut des”: devi essere buono per meritarti il paradiso,
altrimenti vai all'inferno. Un'etica mercantile che fa dire a
Einstein: «Se le persone fossero buone solo per timore della
punizione e speranza della ricompensa, saremmo messi molto male».
Questa forma di morale inculca sistematicamente il senso di colpa.
Difatti, i preti più che incitare il fedele ad agire rettamente, si
dedicano ossessivamente a enfatizzare i peccati (e a inventarne
sempre di nuovi), per cui i credenti molto rigorosi sviluppano una
bassissima autostima e si considerano dei reietti peccatori, spesso
con possibili inquietudini psichice. Durante le cerimonie religiose
c'è tutto un continuo recriminare per i peccati commessi, un
continuo recitare il mea culpa per impetrare il perdono divino, un
deplorare incessante il degrado morale dell'uomo. Il peccato è
visto come la lebbra dell'umanità cui nessuno può sottrarsi.
I
non credenti, invece, hanno un sistema etico più equilibrato e
sereno, agiscono con migliore riflessività e anziché angustiarsi
per i peccati immaginari riferiti a Dio, evitano nel modo più
assoluto di peccare contro se stessi, contro il prossimo e l'intera
natura. Coltivano la vera moralità perché agiscono senza aspettarsi
ricompense, fanno il bene per il bene e basta.
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