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venerdì 23 maggio 2014

La Comunità primitiva contro Paolo (Parte prima) 142

Gli effetti dello scontro, piuttosto aspro, avvenuto ad Antiochia tra Paolo da una parte e Pietro e Barnaba dall'altra si propagarono ben presto a tutti i giudeo-cristiani. A Gerusalemme, molti, specie i farisei aderenti alla comunità, divennero ostili all'apostolato di Paolo tra i pagani ed inclini a credere che il millantato apostolo era una persona ipocrita e troppo disponibile ad agevolare l'accesso facile al cristianesimo. Soprattutto lo accusarono di falsare la dottrina di Gesù e a predicare non la parola di Gesù, ma se stesso. Fu anche sospettato di truffa finanziaria e di cupidigia e disprezzato come pessimo oratore. Alcuni non esitarono a definirlo strambo e pazzo. E alla fine fu deciso di alienargli il consenso delle sue stesse comunità.

Da quel momento in poi, dunque, la rottura tra i cristiano-pagani di Paolo e la Chiesa di Gerusalemme diventò sempre più aspra e non riguardò più diatribe su dottrine e princìpi, ma si trasformò in una una lotta vera e propria per il potere. Mentre Paolo si trovava impegnato nei suoi lunghi viaggi missionari, agitatori giudeo-cristiani penetravano nei territori di sua competenza, forniti di lettere commendizie degli apostoli . Nelle comunità dei Galati s’insinuarono «quelli di Giacomo»e a Corinto si precipitarono i seguaci di Pietro per «arginare la dottrina fuorviante di Paolo».

Naturalmente Paolo reagì con forza e decisione per rintuzzare tutte le accuse rivoltegli. Nelle Epistole paoline sono frequenti le rimostranze sui giudeo-cristiani di Gerusalemme, tuonano feroci maledizioni nei loro confronti, si scatena il velenoso sarcasmo contro i super apostoli. Nella Lettera ai Galati, dal cui tenore fu tanto impressionato Lutero, sostiene che essi non si muovono nella verità del Vangelo, che lo stravolgono, che sobillano la comunità, la stregano, la confondono, la deviano, e non si perita di maledire ripetutamente e con energia i suoi avversari.

In seguito Paolo divenne ancor più aspro, lamentando litigi, discordie, spaccature. Non parla di due, ma di quattro partiti, che si richiamavano a lui, ad Apollo, a Pietro e a Cristo. Paolo accusa gli avversari di predicare un altro Gesù, un altro spirito, un altro Vangelo, di falsare la parola di Dio, di proclamare Cristo mossi solo dall’invidia, dall’odio e dalla discordia. Lascia capire che asserviscono i suoi seguaci, li sfruttano, li schiaffeggiano, e che hanno personalmente oltraggiato e umiliato lui stesso.

Da parte sua, egli affibbia loro l’appellativo di «cani» (questa parola ave-
va allora un valore molto spregiativo), e di «mutilati», con sprezzante allusione alla loro circoncisione. «Genti di tale conio sono falsi apostoli, operai imbroglioni, che di Apostoli del Cristo hanno soltanto la maschera. E non c’è da meravigliarsi: infatti, lo stesso Satana assume la maschera di Angelo della Luce» (2 Cor. 11, 13 sg.).



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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)