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martedì 6 maggio 2014

Primo viaggio missionario di Paolo. 137

Stabilitosi ad Antiochia, capitale della Siria, che coi suoi 800.000 abitanti era allora la terza città dell'impero romano e nella quale si era costituita una comunità cristiana fondata dai giudei-ellenisti fuggiti da Gerusalemme dopo la lapidazione di Stefano,, ne divenne ben presto il leader indiscusso e carismatico. Questa comunità di cristiani ellenisti non era più legata esclusivamente al giudaismo ma già in parte aperta al paganesimo e alle religioni misteriche.


Lì ad Antiochia Paolo iniziò quella evoluzione che lo porterà, sotto l'influsso del paganesimo e delle religioni misteriche, a passare dall’ambito culturale palestinese a quello ellenistico e a creare il suo cristianesimo personale che soppianterà in seguito quello giudaico. La notizia secondo la quale furono proprio i discepoli d’Antiochia a essere chiamati per la prima volta «Cristiani» (Atti, 11, 26), indica chiaramente che ivi la nuova religione aveva ormai assunto una caratteristica tutta propria.


La Chiesa di Gerusalemme, preso atto del ruolo di leader di Paolo ad Antiochia, superando dubbi e riserve sul suo conto, inviò Barnaba, l'unico che riteneva la sua conversione sincera, ad incontrarlo e a proporgli un'azione missionaria in Asia Minore e lungo le coste del Mediterraneo per convincere gli ebrei della diaspora, allora molto numerosi in tutte le contrade dell'Impero, dell'imminente ritorno di Cristo dal cielo (Atti 13,1).


Così, Paolo e Barnaba, coadiuvati dal figlio dell'apostolo Pietro di nome Marco, si diedero a diffondere il Vangelo (la parusia) tra gli ebrei che vivevano fuori della Palestina e che parlavano esclusivamente la lingua greca. Ma incontrarono quasi sempre da parte di costoro una forte ostilità e un rifiuto ostinato (Paolo per poco non venne addirittura lapidato).


Questi ebrei di tendenza conservatrice, che volevano semplicemente frequentare la sinagoga, fare l'elemosina e dedicarsi ai propri affari, non tolleravano di essere coinvolti nell'esaltazione del ritorno del Messia e della fine dei tempi. Se il ritorno di Cristo, infatti, comportava spazzar via Imperatore, senato, tribunali e quant'altro, ciò suonava estremamente sedizioso alle loro orecchie. Era chiaro che per loro Gesù non era il Messia Martirizzato ma un falso Messia.


Paolo e Barnaba decisero allora di rivolgere la loro predicazione ai gentili timorati di Dio. Costoro erano quei pagani che frequentavano le sinagoghe come uditori, essendo favorevolmente impressionati dal modo di vita ebraico che  imponeva il monoteismo, severe norme morali e l'assistenza ai bisognosi, e si dimostrarono spesso molto più disponibili e ricettivi degli ebrei ad accettare la prospettiva dell'imminente restaurazione del Regno di Dio.


A Gerusalemme non tutti erano d'accordo sull'inserimento dei non ebrei nella nuova comunità cristiana. L’opposizione dei cristiani gerosolimitani era rafforzata dalla cooptazione nella loro comunità di molti farisei, aspramente combattuti da Gesù, coi quali, tuttavia, gli apostoli si erano affratellati e in questo connubio non erano stati i farisei a recedere dalle loro posizioni, ma li apostoli a fare delle concessioni di principio. Alcuni farisei, dunque, si opponevano recisamente all'inserimento deo non ebrei, convinti che il ritorno del Risorto riguardasse solo il popolo eletto e non i pagani peccatori. Erano ancora fermi al concetto di religione tribale.


Probabilmente a sollevare il problema dei non ebrei era stato Marco, il figlio di Pietro, che improvvisamente (forse non condividendo la conversione dei pagani) aveva interrotto la sua collaborazione con Paolo e Barnaba ed era rientrato a Gerusalemme, mettendo in guardia quella comunità sul metodo seguito da Paolo. Allora la Chiesa di Gerusalemme, che sotto Giacomo era totalmente ligia al giudaismo, sospettando che la comunità ellenistica guidata da Paolo avesse ormai assunto una caratteristica tutta propria che la poneva in aperta contraddizione con la tradizione giudaica, mandò alcuni suoi inviati (per Paolo “falsi fratelli intromessisi”) ad Antiochia a studiare la situazione e ne nacque una «violenta polemica» (Galati 2,4; Atti, 15,2) con Paolo, che rasentò la ribellione.



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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)