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giovedì 10 dicembre 2015

Come la Comunione, nata come offerta per i poveri, si trasformò in un atto sacrificale per la divinità. Parte prima. 240

L’agape protocristiana, che nelle comunità più antiche aveva luogo quotidianamente dopo il tramonto come atto di carità per i più poveri, tra i quali si annoveravano molti schiavi ed emarginati, cessò progressivamente di essere un pasto comunitario per trasformarsi in una cerimonia sacrificale. Già Paolo, che per primo l'aveva istituita a Corinto, aveva a poco a poco provveduto a trasformarla, invitando i fedeli a mangiare a casa loro e a celebrare negli abituali incontri serali un pasto puramente simbolico. Quindi l'agape fraterna, nata come servizio sociale per i bisognosi, già con lui si era trasformata in un rito salvifico soprannaturale di tipo pagano.

I suoi seguaci non accettarono di buon grado questa trasformazione. Infatti, al posto di una pentola ricolma si videro presentare improvvisamente solo una parvenza di cibo, in luogo di un atto di carità, solo una celebrazione cultuale. Leggiamo nella Didaché, sessanta o settant’anni dopo Paolo, che la Comunione, per molte comunità protocristiane, era intesa ancora come un pasto completo, una cena vera e propria.

Solo a partire dal 150 la comunione, o meglio l’atto del culto eucaristico, fu separata definitivamente dalle agapi, i pasti serali comunitari, spostata ad ora antimeridiana e celebrata unitamente alla recita del servizio divino. Tale processo venne favorito dall’ingresso via via crescente di fedeli benestanti, per i quali mangiare coi poveri non era né una necessità né, tanto meno, un piacere, mentre non era disdicevole partecipare ad un pasto simbolico.

 Le donazioni avvenivano ancora, ma non venivano consumate in comune: se ne distraeva il pane e il vino necessari per l’eucaristia e il resto veniva distribuito a poveri, malati ed emarginati. A partire dal lV secolo, dopo la vittoria del cristianesimo con Costantino, l'agape serale non venne più tollerata all’interno della Chiesa, ed infine venne abbandonata del tutto.


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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)