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venerdì 5 febbraio 2016

10 – Il falso Jahvè. Gli hapiru 2

Nella Bibbia ebraica originale la parola ebrei è resa col termine "habiru", che significa “popolo di là dal fiume”. Secondo l'archeologo e storico Mordechai Snyder "habiru o hapiru" era il nome con cui erano conosciuti gli israeliti agli inizi della loro storia (M. Snyder, Ancient Israel, pagg. 36-51). Nel 1978 Snyder esaminò una tavoletta d'argilla incisa, risalente 1820 a.C., trovata a Mari e conservata al Louvre, nella quale il re di Mari, Zimri-Lim, riferisce di un popolo chiamato «habiru», residente nel suo regno. (Vedi anche M. Magnusson, op. cit., pag. 37).
Anche Giuseppe Flavio, che si occupò di storia ebraica e che nel suo libello "Contra Apionem" raccolse le testimonianze di scrittori pagani sugli ebrei, parla degli hyksos. Egli ci presenta due lunghi estratti ricavati da Manetone, il sacerdote egizio che compilò la storia dell'Egitto sotto i Tolomei, la cui opera, purtroppo, è andata perduta. Nel primo estratto (Contra Apionem I, 73-105) per dimostrare l'antichità del popolo ebraico Giuseppe Flavio si occupa degli hyksos, dei quali dice che avrebbero sopraffatto l'Egitto del delta senza colpo ferire e che avrebbero trattato la popolazione locale con estrema crudeltà.
Gli hyksos avrebbero dominato l'Egitto del nord per oltre un secolo e mezzo, fino a quando i re di Tebe si sarebbero ribellati contro di loro e li avrebbero assediati nella loro capitale Avari. Gli hyksos sarebbero allora emigrati in Siria, si sarebbero stabiliti nella terra poi chiamata Giudea e avrebbero fondato la città di Gerusalemme. Quindi, per Giuseppe Flavio, sarebbero gli antenati degli ebrei.
Il più antico riferimento agli hapiru riscontrabile in Egitto risale al 1500 circa a.C. e si trova in una scena della tomba del grande araldo di Tuthmosis III, Antef, che li elenca tra i prigionieri di guerra catturati durante le campagne del faraone. Altre testimonianze importanti le troviamo nel 1475 a.C. circa, in una scena nella tomba del nobile “Puyemre” a Tebe, risalente al regno di Tuthmosis III: mostra quattro uomini che lavorano su una pressa da vino definiti dai geroglifici: “hapiru che spremono l'uva nel vigneto di Wad-Hor”. Si tratta della terra di Gosen, dove la Bibbia dice che gli israeliti erano tenuti in schiavitù.
Altre testimonianze provengono da una pietra del 1430 a.C. circa, scoperta a Menfi, e dal Papiro di Leyda del 1270 a.C. In questi documenti si spiega che gli hapiru venivano impiegati nella ricostruzione di templi e nella fabbricazione di mattoni. Grazie agli studi testuali dello storico Maurice Bucaille dell'Università di Parigi (Moses and Pharaoh: The Hebrews in Egypt, pagg. 55-56), che negli anni Ottanta del secolo scorso esaminò ulteriori riferimenti sugli hapiru, oggi molti biblisti e antropologi accettano l'ipotesi che gli hapiru fossero gli ebrei che si trovavano in Egitto nei due secoli che precedettero la conquista israelita di Canaan.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)