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giovedì 27 ottobre 2016

La convivenza difficile del mondo monacale con la gerarchia della Chiesa. 281

La Chiesa mondanizzata oppose inizialmente una dura resistenza al movimento monacale perché lo considerava eversivo e lo vedeva come una denuncia del suo lassismo soprattutto in Occidente, ma cercò di tenere sotto controllo questa grave minaccia e di assorbire il fenomeno nel suo alveo. I monaci da parte loro, il cui movimento traeva alimento dal mondo laico, fuori dalla gerarchia clericale, spesso reagirono in maniera energica a questo tipo di approccio.

Quale fosse il concetto che avevano del clero del tempo è dimostrato dalla raccomandazione di non lasciare soldi in eredità alla Chiesa «perché li avrebbero divorati per colazione». L'incorporamento avvenne non senza lotte, come attestano diatribe anche violente fra conventi e vescovi, specie in Egitto, ma anche numerose battaglie di singole persone.

Molti monaci furono fatti preti con la forza. Il monaco Macedonio, detto il mangiatore d’orzo, inseguì il vescovo Flaviano di Antiochia, che voleva consacrarlo, con un fiume di insulti e armato di bastone; il monaco Paoliniano venne consacrato sacerdote dal vescovo Epifanio di Salamina, dopo essere stato imbavagliato e totalmente immobilizzato. In molti altri casi i monaci si sottrassero con la fuga all’ordinazione sacerdotale e vescovile.

Il Concilio di Calcedonia del 451, riconoscendo la validità dei voti monacali, riuscì a sottoporre definitivamente i monaci alla sorveglianza dei vescovi, annettendoli così all’apparato della Chiesa e ottenendo da essi incondizionata obbedienza. Così, già a partire dal VI secolo, il monachesimo venne annesso alla Chiesa sempre più mondanizzata, un processo che si accentuò nel Medio Evo come è dimostrato dal fatto che il papato riuscì di ridurre a ordine monacale il movimento di Francesco d’Assisi che si proponeva di richiamarsi al cristianesimo delle origini. Il monachesimo non fu quindi se non una riforma fallita.

Nel corso di questo processo nacque la cosiddetta «doppia morale», estranea al cristianesimo primitivo, nel quale non si verificavano distinzioni fra i fedeli e i comandamenti di Gesù erano validi indistintamente per tutti i cristiani. Poi venne la differenziazione fra preti e laici. Con l'istituzione dell'”ordine sacro” (il sesto sacramento) si è creata, secondo la Chiesa, una differenza tra ministri consacrati e fedeli non solo funzionale ma ontologica. Traducendo: il clero sacerdotale con l'unzione diventa, per investitura divina, quasi un’altra specie, una casta super umana e perciò con obblighi diversi rispetto ai comuni mortali determinando una distinzione fra i doveri dei «perfetti» (clero) e degli «imperfetti» (laici), fra criteri valutativi per la massa e per gli «eletti», che poi troverebbero miglior trattamento dei cristiani «normali» anche nell’aldilà.

Con l’accettazione di una doppia moralità la Chiesa rinunciò una volta per tutte a rendere vincolante per ogni cristiano l’ethos gesuano. Lutero eliminò il principio della doppia morale, sul quale riposa tutta l’etica cattolica, e impose a tutti i medesimi obblighi, ma con la differenziazione fra doveri cristiani e doveri civili creò una nuova duplicazione della moralità, allo scopo di giustificare la guerra per motivi religiosi nella quale era coinvolto.



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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)