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giovedì 13 ottobre 2016

La dura vita del monaco eremita 279

Nei primi insediamenti romiti i monaci vivevano piuttosto liberamente, senza regole fisse e senza obblighi. Alcuni svolgevano qualche lavoro, altri se ne stavano oziosi ma tutti pregavano molto. Il padrenostro veniva ripetuto, per accrescerne l’efficacia, fino a trecento volte al giorno. Ma oltre a pregare ci si macerava e si combatteva contro il demonio, visto soprattutto come tentazione carnale. Gli anacoreti, infatti, evitavano come la peste la vista di creature femminili. Scacciavano persino madri e sorelle minacciandole col lancio di sassi.

Seguendo questa prassi Simeone, il santo stilita, non guardò la madre per tutta la vita. Ma il diavolo per loro era sempre in agguato per cui a Sketis, una celebre colonia egizia di monaci, non venivano tollerati nemmeno giovani imberbi che potessero ricordare il viso di una donna o scatenare gli istinti pedofili di molti anacoreti, per cui Isacco, il presbitero di Kellia, aveva ordinato di tener lontani i bambini, perché a causa loro sarebbero andate in malora già quattro comunità di Sketis: a tal punto di sfrenatezza, dunque, erano giunti gli asceti cristiani da dedicarsi alla pederastia! Come si vede questo diffuso vizio tra il clero cattolico di oggi ha un'origine antica. L’abate Giovanni Colobo aveva affermato perentorio: «Chi è sazio e parla con un fanciullo, quegli ha con lui già commesso fornicazione”.

Si capisce così perché questi uomini avessero tanto bisogno di macerarsi. Maltrattavano il corpo in ogni modo: bevevano poco, si cibavano solo d’erbaggi selvatici, limitavano il riposo notturno, dormivano in piedi o dentro sepolcri o fra serpi e vermi. Evitavano la pulizia del corpo, emanando un fetore insopportabile, trascinavano catene di ferro o pesanti croci sulle spalle. Molti asceti indossavano cilici; taluni vagavano talvolta nudi come vermi. Ovviamente, però, ci furono anche forme di esistenza monacale più normali attuate da chi si sforzava di osservare i comandamenti di Gesù, calpestati dalla Chiesa ormai mondanizzata, senza arrivare al parossismo.


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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)