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venerdì 8 settembre 2017

Peccato e redenzione n. 16

Il Nuovo Testamento e la nascita del mito della Redenzione. Le fonti del Nuovo Testamento
Trattando la la mitica origine del peccato originale inventato dai Sumeri e inserito nella Bibbia nel VI secolo a.C. durante l'esilio babilonese, abbiamo chiarito che questa colpa primigenia determinava per il popolo ebreo soltanto punizioni terrestri in quanto ogni anima umana cessava di vivere con la morte e ritornava nel nulla assoluto non avendo il dono dell'immortalità. Quindi l'Antico Testamento escludeva la necessità di una redenzione divina che riscattasse l'anima dal peccato di Adamo e la portasse alla felicità eterna, come invece proclamerà il cristianesimo derivato in parte dal vecchio ebraismo. Ma sarà solo il cristianesimo ellenistico-pagano di Paolo (non quello giudaico dei cosiddetti apostoli), che, con l'invenzione dell'immortalità dell'anima, trasformerà il concetto di peccato originale, ponendo la necessità di una redenzione divina.
Il cristianesimo, nato nel primo secolo della nostra era, si fonda su 27 documenti canonici che costituiscono il Nuovo Testamento, che unici ci raccontano la vita di Gesù, ritenuto il suo fondatore. Ma nessuno di questi 27 documenti ha una qualche valenza storica perché sono considerati dagli studiosi alla stregua di ingenue testimonianze della fede dei primi cristiani e in nessun caso dei documenti storici in senso stretto. Per di più essi hanno subito nel corso dei secoli, moltissime e macroscopiche manomissioni e aggiunte che hanno scalfito ancor più la loro attendibilità.
Se noi, infatti, compariamo i quattro vangeli canonici attuali con quelli che si trovano nel più antico e integro codice del Nuovo Testamento (Codice Sinaitico), rinvenuto nel monastero di Santa Caterina sul Monte Sinai nel 1859, datato al IV secolo, riusciamo ad evidenziare, in modo inconfutabile, le numerosissime falsificazioni intenzionali che sono state inserite, durante i secoli, in tutti i Nuovi Testamenti oggi in circolazione, con grande imbarazzo della Chiesa, unica responsabile di tali falsificazioni. Ma l'assurdo è che l'imbarazzo della Chiesa non dipende tanto dalle sue numerosissime false aggiunte, messe in luce da questo codice, quanto ancor più per le molteplici, eclatanti omissioni riscontrate in esso rispetto ai fondamenti del Cristianesimo. L'omissione più straordinaria è quella che riguarda la dottrina centrale della fede cristiana: la resurrezione, le apparizione di Gesù Cristo risorto e la sua ascensione in cielo che non sono riportate nel Vangelo di Marco, il più antico dei quattro e utilizzato come fonte dagli altri due Vangeli sinottici di Matteo e Luca. Nelle versioni odierne di questo Vangelo tutto quanto concerne la resurrezione viene raccontato con l'aggiunta di oltre 500 parole totalmente inventate (16:9-20) e conosciute come la Finale lunga di Marco.



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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)