Le
due fasi del cristianesimo.
A
causa delle origini del Cristianesimo poco attendibili e piuttosto
contraddittorie pochi credenti sanno oggi che esso si è
sviluppato in due tronconi, molto diversi l'uno dall'altro. Il primo,
che possiamo chiamare giudeo-cristiano, ha avuto origine dagli
Apostoli guidati da Giacomo, fratello di Gesù; il secondo, che
possiamo chiamare ellenistico-pagano, è stato una creazione
personale di Paolo di Tarso, il san Paolo della Chiesa. Il
Cristianesimo giudaico, nella sua breve esistenza, è rimasto sempre
ligio all'ebraismo più ortodosso e ha praticato, con
straordinario zelo, tutte le pratiche del giudaismo rituale: la
frequentazione quotidiana del Tempio, la partecipazione ai sacrifici,
l'osservanza delle festività e della Legge ebraica. Per esso il
Cristianesimo non era una nuova religione contrapposta all'ebraismo,
ma un suo completamento e riguardava soltanto gli ebrei della
Palestina e quelli della diaspora che si erano sparsi nelle molte
contrade dell'Impero romano. Tutti
gli altri popoli, che adoravano gli dei pagani, erano esclusi perché
l'etica biblica, ed anche quella evangelica, erano settarie e ostili
nei loro confronti. Non dimentichiamo che gli ebrei si considerano il
popolo eletto, l'unico in cui scorreva sangue divino, e che Mosè,
su preciso comando di Jahvè, aveva condannato a morte e sterminio
tutti gli infedeli.
La
Parusia, cioè la nascita del Cristianesimo giudaico, ignorava
il peccato originale e non preconizzava la Redenzione.
Le
aspettative del Cristianesimo giudaico erano incentrate sulla
Parusia, cioè sulla credenza che Gesù, dopo la sua risurrezione,
sarebbe tornato quasi subito dal cielo, in carne e ossa, per creare
il Regno di Dio in Terra, come avevano annunciato i profeti, e che
avrebbe dato inizio ad un lungo periodo di pace e di armonia per
Israele prima e per il resto del mondo poi.
Al
tempo di Gesù gli ebrei, che avevano sofferto un lungo periodo di
dominazione sotto gli assiri, i babilonesi, i persiani e i greci, e
che dal 62 a.C. erano stati sottoposti al dominio romano,
accusavano la decadenza dei costumi e il degrado socio-politico e
religioso. Per reazione a questa situazione di diffuso malessere,
si erano radicate in tutte le classi sociali le aspettative
messianiche, che possiamo riassumere nell'utopica, ossessiva e
delirante credenza che Dio avrebbe mandato un uomo a ristabilire la
giustizia sociale, l'osservanza della Legge e l'indipendenza del
Paese. Quest'uomo prescelto, di discendenza davidica, sarebbe stato
il Messia (in ebraico Mashià, in greco Christòs), preannunciato dai
profeti.
Messia
allora significava l'Unto dal Signore, secondo l'antica cerimonia di
investitura regale che prevedeva l'unzione sulla fronte con olio
profumato del futuro re d'Israele. Vedremo che in seguito questo
termine, con l'evoluzione del cristianesimo, perderà il suo
significato originario per assumere quello attuale di Figlio di Dio.
A causa del degrado politico in cui era caduta la Palestina sotto i
romani, l'aspettativa messianica dell'avvento imminente del Regno di
Dio, che avrebbe dato inizio ad un periodo di giustizia, di
uguaglianza, di benessere e di pace in Israele, era sempre più
sentita dalla maggioranza della popolazione e trovava negli zeloti e
negli esseni, che impersonavano la lotta armata clandestina contro i
romani, i più decisi sostenitori. Mentre i primi, contando
sull'aiuto delle schiere angeliche di Jahvè, perseguivano il
messianismo come sola lotta armata, come aperta ribellione ai romani,
da attuare con efferata ferocia e determinazione, i secondi
associavano alla lotta armata l'esigenza di ripristinare, come mezzo
per prepararsi spiritualmente a questo grande evento e rendersene
degni, lo spirito autentico della fede dei padri, vivendo in
preghiera e in penitenza, seguendo una morale rigorista, abbracciando
una lieta povertà, rinunciando a ogni proprietà personale e
chiamandosi “fratello” l'uno l'altro.
Nessun commento:
Posta un commento