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lunedì 4 settembre 2017

Peccato e redenzione n.15

Benefici materiali e terreni, quindi, quali la sopravvivenza nella prosperità e nell'abbondanza, il costante incremento demografico e il dominio sulle altre nazioni, questo era il premio per le virtù concesse al popolo ebraico. Disobbedendo alle leggi del suo Dio, invece, cioè commettendo il peccato, Israele credeva di essere destinato a perire. Il patto stipulato tra Jahvè e il suo popolo riguardava soltanto la vita terrena e non contemplava minimamente quella spirituale o celeste perché la morte segnava l'annullamento dell'individuo e la fine di ogni rapporto col suo Dio. Tutta la vita di Israele era condizionata dall'osservanza della Legge ritenuta garanzia della sua sopravvivenza .
Questa legge regolava tutti gli aspetti della vita quotidiana, anche quelli sociali e familiari, e imponeva la difesa dei deboli e degli oppressi. Le sue preoccupazioni umanitarie comprendevano, ad esempio, la remissione dei debiti ogni sette anni, le leggi antiusura, il porre un limite alla schiavitù e, a questo proposito, veniva ricordato al popolo ebraico come fosse stato esso stesso un tempo schiavo e straniero (Deuteronomio, 15, 20 e 23). Anche i salariati, gli orfani, le vedove e gli indigenti erano trattati con grande umanità. Perfino gli animali domestici venivano tutelati da maltrattamenti e da sfruttamenti iniqui: al bue non si poteva mettere la museruola quando trebbiava (Deuteronomio 25,4). La Legge, tutelando i diritti umani e la dignità della persona, dava un esempio senza precedenti di attenzione per i deboli e gli indifesi e contemplava norme morali finalizzate al benessere sociale. La festività del sabato, ad esempio, possiamo considerarla la prima conquista sindacale della storia, mediante l'artificio del riposo consacrato alle fatiche del Signore.
Ma nella Bibbia, accanto ai dettami della Legge connotati da alta umanità e socialità, troviamo anche molti comandi di Jahvè che consentono al suo popolo di commettere i delitti e le perversioni più efferati, come lo stupro, l'infanticidio, il feticidio, l'incesto, la legittimità della schiavitù, la condanna a morte, la guerra civile e religiosa, la sottomissione della donna, la morale della maledizione, la lapidazione e molti altri delitti. Essi inoltre consentono la poligamia (il leggendario re Salomone aveva un harem con centinaia di mogli e concubine), il concubinaggio con schiave e con prigioniere di guerra, il rapporto sessuale con le prostitute e l'assegnazione ai figli celibi di una schiava «per coito», subito dopo il raggiungimento della pubertà e in attesa del matrimonio. (Ma, d’altra parte, ordina di punire con la morte, mediate lapidazione, ogni rapporto extraconiugale della donna).
Nei riguardi degli altri popoli poi Jahvè si rivela un Dio crudele, sanguinario, vendicativo, estremamente malvagio che esige lo sterminio di intere popolazioni, ree di essere incirconcise o nemiche di Israele; la distruzione degli altari e delle statue delle altre religioni; le più efferate crudeltà contro i nemici vinti. Infatti durante la conquista della Terra Promessa, è proprio Jahvè che ordina a Giosuè, successore di Mosè, di attuare i massacri più crudeli contro i nemici e di sterminare, senza pietà: donne, vecchi e bambini. Questo per dimostrare le enormi contraddizioni che si trovano in questo testo antico ritenuto, ancor oggi, da milioni di americani, autentica parola di Dio.

Il massimo peccato che il popolo ebraico poteva commettere e che Jahvè, secondo la Bibbia, avrebbe punito con carestie, malattie, sconfitta politica, resa in schiavitù e perfino distruzione dell'intero popolo, era quello di adorare altri dèi oltre Jahvè. Era un peccato gravissimo nel quale Israele cadeva spesso e i profeti non si stancavano di ripetere che tutte le sciagure che accadevano continuamente al loro popolo erano la giusta punizione divina per il peccato di idolatria. Una colossale fandonia perché gli eventi storici ci dimostrano che Israele ha sofferto i momenti più dolorosi e drammatici della sua storia proprio quando, in seguito alla riforma di re Giosia, aveva raggiunto il massimo rigore religioso. Infatti, all'apice della raggiunta religiosità perché l'intero popolo ebraico si era perfettamente uniformato ai precetti divini osservando con grande zelo tute le leggi della Torah e re Giosia aveva la certezza che finalmente Israele poteva meritare la più completa protezione di Jahvè, proprio allora gli è sopraggiunta la più immane delle catastrofi, cioè l'annientamento della nazione ebraica e la schiavitù a Babilonia con la conseguente perdita di ogni libertà politica. Evidentemente il Dio biblico era soltanto un inetto totem tribale. 

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)