Il
regno di Giovanni non durò a lungo. Alla fine dell’anno 35 d.C.,
Lucio Vitellio, dopo aver costretto Artabano alla fuga e aver
assoggettato nuovamente l’Armenia al dominio di Roma, rientrò ad
Antiochia con le sue legioni” (Tacito, Annales VI 37). Venuto a
conoscenza degli eventi accaduti in Giudea, dopo aver fatto
riposare l’esercito nei quartieri invernali, alla testa delle sue
legioni si avviò verso Gerusalemme per giustiziare il monarca, che,
illegittimamente, si era proclamato Re dei Giudei e ristabilire
l'ordine. Nel frattempo il Prefetto Marcello era giunto a Cesarea
Marittima per rilevare Ponzio Pilato dal suo incarico.
Giunto
nel periodo pasquale del 36 d.C., Lucio Vitellio, cinse d’assedio
la Città Santa, già stremata dalla lunga carestia, e le inviò un
ultimatum di resa. Fu il Sinedrio, convocato dallo stesso Giovanni
in qualità di Sommo Sacerdote del Tempio a decretare in quel
momento la fine del Re e del suo breve regno. Nel Vangelo di
Giovanni le parole di Caifa ai sinedriti che recitano:
“Considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e
non perisca la nazione intera” (Gv 11,50) suonano assurde se
riferite ad un mite predicatore che offre sempre l'altra guancia qual
è il Gesù evangelico, ma sommamente pertinenti se riferite ad un
Messia zelota la cui sopravvivenza metteva a rischio l'incolumità di
un intera nazione. Per Giovanni, il “Salvatore” Re dei Giudei,
non vi fu alcuna possibilità di scampo e accettò la resa di
Gerusalemme e il suo atroce destino: la crocifissione.
Venne
arrestato, portato nella Fortezza Antonia, incatenato, sottoposto a
dileggi e ad atroci torture. Il giorno dopo, venne crocefisso
pubblicamente, come monito rivolto agli Ebrei inteso a rimarcare la
potenza dell'Impero romano. Il popolo distanziato da un fitto
cordone di sbarramento di miliziani romani, assistette in silenzio,
impietrito e impotente, alla morte di Giovanni, sopraggiunta dopo
una lunga agonia “fra i più atroci tormenti d'ogni sorta fino
all'ultimo istante di vita” (Bellum VII cap. 8,272).
Poco
prima di morire, secondo Marco e Matteo, il Gesù evangelico ebbe un
attimo di smarrimento e pronunciò il grido di terrore e solitudine:
“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Marco 15,34),
inconcepibile se Cristo fosse stato il Figlio di Dio che s'immolava
per la salvezza dell'umanità, ma chiarissimo per un Messia che,
avendo fermamente creduto nell'intervento di Jahvè in suo aiuto,
constatava con disperazione l'abbandono divino e il fallimento della
sua missione. In base alla legge romana, al collo del crocifisso
venne appeso un cartello con il nome e la motivazione della pena
capitale:
I
N R I: IOHANNES NAZIREVS REX IVDAEORVMU.
Non
vi fu alcuna via crucis, del resto mai accennate da Cicerone, Seneca,
Maccio Plauto e Plinio il Vecchio che riferirono sulle crocifissioni.
Questa tortura avrebbe creato grossi problemi di servizio d'ordine
mettendo a rischio l'incolumità dei miliziani di scorta obbligati a
seguire il condannato per un lungo tratto di strada. Non vi fu alcun
processo per stabilire la colpevolezza perché il reato era
flagrante. Quindi il processo di Gesù celebrato nei Vangeli, oltre
ad essere una summa di incoerenze e di assurdità, era totalmente
escluso dalla flagranza del reato. Allora perché è stato inserito
nei Vangeli? Per far ricadere sui Giudei la colpa dell’uccisione
del “Salvatore”. Infatti, Gesù Cristo “Nostro Signore”, per
la nuova dottrina del Cristianesimo nascente, non doveva risultare
giustiziato dal potere di Roma perché ciò avrebbe dimostrato che
era un re ebreo zelota guerriero e questo contrastava la figura
dell’“Agnus Dei”, vittima sacrificale divina per il bene
dell’umanità. Inoltre i Vangeli narrano, in contrasto palese con
la storia documentata e tra assurdità e incoerenze di ogni genere,
che a far uccidere Gesù fu Ponzio Pilato, costretto dai Giudei, e
non Lucio Vitellio. Falso storico conclamato perché la condanna di
“Gesù” è avvenuta dopo la destituzione di Pilato (Ann. XV
cap. 44).
La
crocifissione di Giovanni di Gamala, per gli ebrei del suo tempo,
significava che lui non era il Messia prescelto da Jahvè perché
secondo i Profeti ebrei, il loro Dio non aveva schierato le potenze
celesti in suo aiuto per annientare la supremazia dei “Kittim”
pagani invasori (Rotoli di Qumran: frammento 4Q 246). Perciò dopo la
fuga dei suoi seguaci zeloti, venne in un primo tempo dimenticato
in Palestina, anche se la rivendicazione dinastica, come vederemo
continuerà coi suoi fratelli, datesi alla macchia. Prima di
analizzare sinteticamente l'evoluzione della nuova dottrina derivata
dalla crocifissione di Giovanni di Gamala, che sfocerà nell'attuale
Cristianesimo, esaminiamo per brevi linee le vicende finali, tutte
altamente drammatiche e crudeli, degli altri quattro fratelli di
Giovanni e del loro nipote Eleazar.
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