A
causa delle continue sommosse provocate dagli zeloti accadde che:
“Spinti dall'odio e dal furore, i soldati romani si divertivano a
crocifiggere i prigionieri in varie posizioni, e tale era il loro
numero che mancava lo spazio per le croci e le croci per le vittime”
(Bellum V 451). Come vedremo nel proseguo della trattazione, tutti i
cinque figli di Giuda il Galileo e il loro nipote Eleazar finiranno
di morte violenta combattendo con spietata durezza per la causa
messianica.
Ma
perché gli zeloti, nonostante la continua e feroce repressione
romana che costò loro migliaia di crocifissioni e la distruzione di
città e villaggi, mai desistettero dalla loro lotta armata contro i
romani? Per una complessa serie di motivi, tra i quali era
determinante il sostegno massiccio avuto dall'opinione popolare,
specie dai giovani; ma principalmente perché credevano fermamente
che, come avevano vaticinato i Profeti ebrei, Jahvè sarebbe
intervenuto schierando le potenze celesti e la sua ira avrebbe
annientato la supremazia dei “Kittim” pagani invasori, con una
grande strage, consentendo al popolo eletto di costituire l'antico
regno di Davide che sarebbe durato in eterno” (Rotoli di Qumran:
frammento 4Q 246).
E,
come vedremo nel prosegue dello studio, il vero Gesù (Giovanni di
Gamala) e suo fratello minore Giuseppe o Menahem, riuscirono, in due
successivi momenti, a scacciare i romani dalla Giudea e farsi ungere
re d'Israele. Il “Rotolo della Guerra” trovato a Qumran nel 1947
ci ha dimostrato il linguaggio rassicurante, basato sulla certezza
dell'intervento divino, adottato dai Profeti zeloti per istigare le
masse a ribellarsi contro i “kittim” invasori: “Ascolta,
Israele! Voi state per combattere contro i vostri nemici… Non
spaventatevi e non allarmatevi innanzi a loro. Poiché il vostro Dio
cammina con voi per combattere i vostri nemici e per salvarvi…
Allorché nel vostro paese verrà una guerra contro un oppressore che
vi opprime, suonerete le trombe e il vostro Dio si ricorderà di voi
e sarete salvi dai vostri nemici ... ” . E , una volta sconfitti e
catturati, non avendo avuto il tempo di suicidarsi prima della
cattura, come affrontavano la morte gli zeloti? Giuseppe Flavio, il
massimo storico ebraico che li odiò a morte, ritenendoli
responsabili della distruzione di Gerusalemme e del Tempio e che
forse era lontano parente dei figli di Giuda il Galileo, nel suo
libro Guerra Giudaica così dice degli zeloti: “…non vi fu
alcuno che non restasse ammirato per la loro fermezza e per la loro
forza d’animo, o cieco fanatismo che dir si voglia…accogliendo i
tormenti e il fuoco, con il corpo che pareva insensibile e l’anima
quasi esultante” (Bellum VII 416-419). E ancora:
“Il loro spirito fu assoggettato ad ogni genere di prova durante la
guerra contro i romani, in cui stirati e contorti, bruciati e
fratturati e passati attraverso tutti gli strumenti di tortura perché
bestemmiassero il Legislatore, o mangiassero qualche cibo vietato,
non si piegarono a nessuna delle due cose, senza una parola meno che
ostile verso i carnefici e senza versare una lacrima. Ma sorridendo
tra i dolori e, prendendosi gioco di quelli che li sottoponevano ai
supplizi, esalavano serenamente l'anima, certi di tornare a
riceverla” (Antichità II 152).
Nel
34 d.C. in Giudea imperversò una grave carestia che opprimeva
l'intera popolazione, costringendo molti poveri a morire di fame. La
carestia era aggravata anche dai forti contributi imposti da Roma sui
prodotti agricoli e determinava scontri sociali cavalcati prontamente
dagli zeloti allora campeggiati da Giovanni di Gamala, figlio
primogenito di Giuda il Galileo. Nello stesso anno scoppiò un
conflitto fra l'Impero romano e il Regno dei Parti, obbligando le
legioni romane del Medio Oriente a marciare, sotto il comando di
Lucio Vitellio, verso il fiume Eufrate per bloccare l'esercito
persiano.
Approfittando
di questa eccezionale situazione, Giovanni di Gamala (il Gesù dei
Vangeli), stante i medesimi rapporti di forza fra i due Imperi, il
Romano e il Partico, adottò l'identica strategia del suo
predecessore, Antigono II asmoneo, contando, come lui, sulla vittoria
dei Parti e si accordò con il re parto Artabano III per sollevare la
Giudea contro i romani. Durante la Festa delle Capanne del 35, che
riuniva a Gerusalemme gran parte della popolazione giudaica, spinse
la nazione a ribellarsi, e dopo aver annientato la guarnigione
romana, si impadronì del potere facendosi osannare dal popolo come
“Re dei Giudei” e “Salvatore” (Yeshùa). Giovanni restaurò
la prassi degli antenati monarchi Asmonei che rivestivano entrambi i
sacri uffizi di Re e Sommo Sacerdote. Per gli Ebrei Giovanni divenne
così il “Yeshùa” (Salvatore) della terra santa, e tramite il
rituale dell'unzione, il nuovo Messia (Cristo). A quella data, il
Prefetto Ponzio Pilato era stanziato nel palazzo pretorio di Cesarea
Marittima, ma, non avendo saputo disporre forze sufficienti per
impedire la rivolta, venne da Roma riconosciuto colpevole e
destituito.
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