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venerdì 10 novembre 2017

Peccato e redenzione n.34

Cominciamo da Giuda, che negli Atti viene chiamato Theudas e viene presentato come uno dei capi del Movimento Nazionalista Giudaico antiromano. Secondo Giuseppe Flavio, durante il periodo in cui Cuspio Fado era Procuratore della Giudea (44-46 d.C.), Giuda, atteggiandosi come Profeta col nome di Theudas, era riuscito a radunare un cospicuo numero di zeloti presso il fiume Giordano, forse pronti ad un colpo di mano, ma il procuratore Fado li colse di sorpresa inviando tempestivamente uno squadrone di cavalleria che piombò improvviso su di essi uccidendone molti e facendone altri prigionieri. Lo stesso Theudas fu catturato, gli mozzarono la testa e la portarono a Gerusalemme per esporla come trofeo e monito (Libro XX di “Antichità Giudaiche” versetti 97/102). Un paio d'anni dopo, sotto l’amministrazione di Tiberio Alessandro (Procuratore dal 46 al 48 d.C.), dopo una lunga latitanza, Giacomo e Simone (Pietro), figli di Giuda il Galileo, vennero catturati per essere sottoposti a processo e poi giustiziati di spada. Gli Atti riferiscono il loro arresto, confermando l'uccisione di Giacomo e inventando la liberazione di Pietro per intervento divino (Atti 12).
A causa dei continui scontri tra zeloti e romani la Palestina fu perennemente in preda ad un caos inarrestabile e nel 66 d.C. la situazione precipitò definitivamente. Fu allora che Giuseppe, conosciuto anche col nome di Menahem, l'ultimo dei figli di Giuda il Galileo e fratello del Messia crocifisso Giovanni, mirando alla restaurazione della monarchia asmonea di cui si sentiva erede, messosi alla testa di un folto manipolo di zeloti, assalì la roccaforte di Masada, si appropriò dell’arsenale del re Erode Agrippa II e, piombato a Gerusalemme, massacrò la guarnigione romana e assunse il comando della città (Bellum VII 433-434).
Ma il Sommo Sacerdote Anania gli si oppose, forse con l'appoggio del Sinedrio. Allora Giuseppe Menahem non esitò ad ucciderlo e a sostituire il vecchio Sinedrio con un altro rivoluzionario che lo riconobbe come Re dei Giudei e Sommo Sacerdote. Mentre, però, ornato in gran pompa con la veste regia, si trovava a pregare nel Tempio, Eleazar, capitano delle Guardie del Tempio e figlio del Sommo Sacerdote Ananìa che lui aveva ucciso, riuscì ad imprigionarlo e dopo averlo sottoposto a molti supplizi, ad ucciderlo con i suoi luogotenenti. La morte di Giuseppe, “detto Menahem” segnò la fine dei cinque fratelli appartenenti a una dinastia definita più volte da Giuseppe Flavio “di grande potere” ... Una stirpe di sangue reale che – rivendicando il diritto a sedersi sul trono dei Giudei, appartenuto agli Asmonei spodestati dai romani in favore di Erode – si impegnò, fino al martirio, in una guerra contro il dominio di Roma attraverso un contesto storico estremamente catastrofico per la nazione ebraica. Il casato asmoneo ebbe un ultimo e terrificante epilogo nel 73 d.C. per opera di Eleazar bar Jair (Lazzaro figlio di Giairo) nipote di Giuda il Galileo in quanto nato da una sua figlia (sorella quindi di Giovanni) che aveva sposato Giairo. Dopo l'uccisione delle zio Menahem, Eleazar capo della setta dei sicari, la fazione più irriducibile degli zeloti, si rifugiò nelle fortezza di Masada e durante la prima Guerra Giudaica, a partire del 70 d.C. ne diresse la resistenza. Nel 73 d.C. la decima legione sotto il comando di Flavio Silva, procuratore della Giudea, mediante la costruzione di una rampa imponente riuscì ad iniziare l'espugnazione della rocca. Allora Eleazar con un focoso discorso convinse, con la promessa della “resurrezione dell'anima”, circa mille ribelli, famiglie comprese, a suicidarsi in massa per evitare l'umiliazione di stupri e schiavitù da parte dei legionari (Bellum VII 253). Quando i romani penetrarono nell'altopiano, trovarono i corpi esanimi di tutti i difensori, tra cui donne e bambini. Una vera ecatombe. Con la morte di Eleazar si conclude definitivamente la tragica saga degli ultimi discendenti della regia famiglia degli Asmodei. È doveroso riconoscere che tutti i membri di quella potente dinastia, hanno lottato e pagato per un fine patriottico nobile. Per quattro generazioni, da Ezechia ad Eleazar, hanno condotto una guerriglia sempre a rischio della vita, accettando la morte con coraggio indomito e totale sprezzo del dolore.
La componente zelota, sempre molto diffusa in Israele, non volle mai sottomettersi al giogo romano nonostante la fine degli Asmonei e la distruzione di Gerusalemme e del Tempio, e si riaccese violentissima nel 135 d.C con la insurrezione di Simone bar Kochba, che determinò la seconda e definitiva distruzione di Gerusalemme e della Palestina e la diaspora dell'intero popolo ebraico. L'imperatore Adriano, di fronte a quell'ennesima rivolta, pensò bene di risolvere il problema alla radice. Ordinò di cancellare a Gerusalemme e nella Palestina ogni traccia che si riferisse all'ebraismo. Quindi fece spianare il Golgota, sconvolse radicalmente ogni aspetto della vecchia città santa e sulle rovine del Tempio fece erigere, come suprema profanazione, un tempio pagano con le statue di Giove Capitolino e di altre divinità. Non pago degli stravolgimenti radicali operati a Gerusalemme e in Palestina, Adriano proibì agli ebrei, che si erano salvati nella fuga, di rientrare, pena la morte, nei loro territori e nella nuova Gerusalemme, ribattezzata Aelia Capitolina, e da allora iniziò la vera diaspora ebraica che durò fino alla nascita dello Stato d'Israele nel 1948.


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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)