Cominciamo
da Giuda, che negli Atti viene chiamato Theudas e viene presentato
come uno dei capi del Movimento Nazionalista Giudaico antiromano.
Secondo Giuseppe Flavio, durante
il periodo in cui Cuspio Fado
era Procuratore della Giudea (44-46
d.C.), Giuda, atteggiandosi come Profeta col nome di Theudas, era
riuscito a radunare un cospicuo numero di zeloti presso il fiume
Giordano, forse pronti ad un colpo di mano, ma il procuratore Fado li
colse di sorpresa inviando
tempestivamente uno squadrone di cavalleria che piombò improvviso
su di essi uccidendone molti e facendone altri prigionieri. Lo stesso
Theudas fu catturato, gli mozzarono la testa e la portarono a
Gerusalemme per esporla come trofeo e monito (Libro
XX di “Antichità Giudaiche” versetti 97/102).
Un paio d'anni dopo, sotto
l’amministrazione di Tiberio Alessandro (Procuratore
dal 46 al 48 d.C.), dopo una
lunga latitanza, Giacomo
e Simone (Pietro), figli di Giuda il Galileo, vennero catturati per
essere sottoposti a processo e poi giustiziati di spada. Gli Atti
riferiscono il loro arresto, confermando l'uccisione di Giacomo e
inventando la liberazione di Pietro per intervento divino (Atti
12).
A
causa dei continui scontri tra zeloti e romani la Palestina fu
perennemente in preda ad un caos inarrestabile e nel 66 d.C. la
situazione precipitò definitivamente. Fu allora che Giuseppe,
conosciuto anche col nome di Menahem, l'ultimo dei figli di Giuda il
Galileo e fratello del Messia crocifisso Giovanni, mirando alla
restaurazione della monarchia asmonea di cui si sentiva erede,
messosi alla testa di un folto manipolo di zeloti, assalì la
roccaforte di Masada, si appropriò dell’arsenale del re Erode
Agrippa II e, piombato a Gerusalemme, massacrò la guarnigione romana
e assunse il comando della città (Bellum VII 433-434).
Ma
il Sommo Sacerdote Anania gli si oppose, forse con l'appoggio del
Sinedrio. Allora Giuseppe Menahem non esitò ad ucciderlo e a
sostituire il vecchio Sinedrio con un altro rivoluzionario che lo
riconobbe come Re dei Giudei e Sommo Sacerdote. Mentre, però, ornato
in gran pompa con la veste regia, si trovava a pregare nel Tempio,
Eleazar, capitano delle Guardie del Tempio e figlio del Sommo
Sacerdote Ananìa che lui aveva ucciso, riuscì ad imprigionarlo e
dopo averlo sottoposto a molti supplizi, ad ucciderlo con i suoi
luogotenenti. La morte di Giuseppe, “detto Menahem” segnò la
fine dei cinque fratelli appartenenti a una dinastia definita più
volte da Giuseppe Flavio “di grande potere” ... Una stirpe di
sangue reale che – rivendicando il diritto a sedersi sul trono dei
Giudei, appartenuto agli Asmonei spodestati dai romani in favore di
Erode – si impegnò, fino al martirio, in una guerra contro il
dominio di Roma attraverso un contesto storico estremamente
catastrofico per la nazione ebraica. Il casato asmoneo ebbe un ultimo
e terrificante epilogo nel 73 d.C. per opera di Eleazar bar Jair
(Lazzaro figlio di Giairo) nipote di Giuda il Galileo in quanto nato
da una sua figlia (sorella quindi di Giovanni) che aveva sposato
Giairo. Dopo l'uccisione delle zio Menahem, Eleazar
capo della setta dei sicari,
la fazione più irriducibile degli zeloti, si rifugiò nelle fortezza
di Masada e durante la prima Guerra Giudaica, a partire del 70 d.C.
ne diresse la resistenza. Nel 73 d.C. la decima legione sotto il
comando di Flavio Silva, procuratore della Giudea, mediante la
costruzione di una rampa imponente riuscì ad iniziare l'espugnazione
della rocca. Allora Eleazar con un focoso discorso convinse, con la
promessa della “resurrezione dell'anima”, circa mille ribelli,
famiglie comprese, a suicidarsi in massa per evitare l'umiliazione di
stupri e schiavitù da parte dei legionari (Bellum VII 253). Quando
i romani penetrarono nell'altopiano, trovarono i corpi esanimi di
tutti i difensori, tra cui donne
e bambini. Una vera ecatombe. Con la morte di Eleazar si
conclude definitivamente la tragica saga degli ultimi discendenti
della regia famiglia degli Asmodei. È doveroso riconoscere che
tutti i membri di quella potente dinastia, hanno lottato e pagato
per un fine patriottico nobile. Per quattro generazioni, da Ezechia
ad Eleazar, hanno condotto una guerriglia sempre a rischio della
vita, accettando la morte con coraggio indomito e totale sprezzo
del dolore.
La
componente zelota, sempre molto diffusa in Israele, non volle mai
sottomettersi al giogo romano
nonostante la fine degli Asmonei e la distruzione di Gerusalemme e
del Tempio, e si riaccese violentissima nel 135 d.C con la
insurrezione di Simone bar Kochba, che determinò la seconda e
definitiva distruzione di Gerusalemme e della Palestina e la diaspora
dell'intero popolo ebraico. L'imperatore
Adriano, di fronte a quell'ennesima rivolta, pensò bene di risolvere
il problema alla radice. Ordinò di cancellare a Gerusalemme e nella
Palestina ogni traccia che si riferisse all'ebraismo. Quindi fece
spianare il Golgota, sconvolse radicalmente ogni aspetto della
vecchia città santa e sulle rovine del Tempio fece erigere, come
suprema profanazione, un tempio pagano con le statue di Giove
Capitolino e di altre divinità. Non pago degli stravolgimenti
radicali operati a Gerusalemme e in Palestina, Adriano proibì agli
ebrei, che si erano salvati nella fuga, di rientrare, pena la morte,
nei loro territori e nella nuova Gerusalemme, ribattezzata Aelia
Capitolina, e da allora iniziò la vera diaspora ebraica che durò
fino alla nascita dello Stato d'Israele nel 1948.
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