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venerdì 26 aprile 2013

Il Vangelo di Giovanni. 34


Fin dal II secolo alcuni Padri della Chiesa si resero conto che il Vangelo di Giovanni si differenziava sostanzialmente dai tre Sinottici. Nel XIX secolo i teologi David Friedrich e soprattutto Ferdinand Christian Baur dimostrarono brillantemente ch’esso fu ideato in vista di una determinata concezione dogmatica, senza alcun riguardo alla realtà storica, e che va inteso in senso
squisitamente allegorico. Esso sembra costituire una fonte per la predicazione di Gesù per il cristianesimo dell’epoca postapostolica.

Questo Vangelo non fu composto dall’apostolo Giovanni come dimostra da oltre cent’anni l’intera bibliologia critica, soprattutto per l’opera sagace del teologo Karl Theophil Bretschneider, apparsa nel 1820 (Probabilia de evangelii et epistularum Joannis apostoli indole et origine), e i lavori di D.F. Strauss e F.C. Baur. In epoca più recente la stessa tesi fu sostenuta da un certo numero di ricercatori cattolici.

Il quarto Vangelo vide la luce come minimo intorno all’anno 100, mentre il martirio dell’apostolo Giovanni ebbe luogo alcuni decenni prima, giacché venne ucciso col fratello Giacomo (Atti, 12, 2) nel 44, probabilmente durante il regno di Erode Agrippa I, oppure (più verosimilmente) nel 62, insieme a Giacomo, fratello del Signore. Sia il Martirologio Siriano sia quello Armeno del 411 menzionano come martiri «Giovanni e Giacomo apostoli a Gerusalemme».

La paternità dell’apostolo Giovanni fu sostenuta per la prima volta da Ireneo (adv. haer. 3, 1, 1), alla fine del II secolo mentre fino ad allora lo avevano ignorato Marcione, Giustino, Papia e lo stesso Policarpo che, secondo la Chiesa, era discepolo di Giovanni. Quindi non esistono testimonianze precedenti ad Ireneo e tutte quelle successive si riferiscono a lui.. Per altro, Ireneo si lascia sfuggire diverse imprecisioni significative: ha confuso, probabilmente l’apostolo Giovanni, che, a suo dire, visse in Efeso fino ad età avanzata, col vescovo Giovanni di Efeso, che visse in quella città intorno all’anno 100.

Come attesta il vescovo Papias, questo Giovanni era una personalità assai stimata in Asia Minore, nominata ancora intorno al 140 col nome di Presbyter ma successivamente come Apostolo. È importante notare che l’autore della Seconda e della Terza Epistola di Giovanni, che la Chiesa assegna all’Apostolo, all’inizio si definisce ogni volta come «Il Presbyter». Ma perché, se egli era l’Apostolo? Perché lo stesso Padre della Chiesa Gerolamo disconosce all’Apostolo la Seconda e la Terza Epistola di Giovanni? E perché persino il papa Damaso I in un indice dei libri della Bibbia, da lui composto nel 382, attribuì due delle Epistole di Giovanni non all’apostolo Giovanni, bensì a un «altro Giovanni, il Presbyter» (alterius Johannis presbyteri).

A sfavore dell’identificazione dell’apostolo Giovanni col quarto Evangelista depone anche il fatto che il più esperto conoscitore dei fatti della Chiesa d’Asia Minore, il vescovo Ignazio (Ignat. Eph. 12, 2), non accenna mai nei suoi scritti all'apostolo Giovanni. In una lettera agli efesini, Ignazio ricorda espressamente Paolo (Ign. Eph.12,2), il celebre fondatore di quella comunità, ma non cita neppure di passaggio l’apostolo Giovanni, che sarebbe vissuto e avrebbe operato a lungo proprio lì, amato e venerato da tutti, fin quasi ai giorni della nascita dell’opera di Ignazio. Le lettere di Ignazio, poi, non denotano alcuna influenza del quarto Vangelo, che pure avrebbe potuto fornire argomentazioni brillanti a questo fiero oppositore degli eretici.
Pesanti riserve, infine, contro la composizione di questo Vangelo ad opera dell’apostolo Giovanni scaturiscono dal carattere del testo medesimo. Sarebbe stato scritto ben diversamente, qualora fosse stato redatto dal figlio di Zebedeo, il discepolo di Gesù. Infatti lo spirito dell’Apostolo, quale è a noi noto attraverso i Sinottici, nulla ha a che fare con l’Evangelista.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)