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venerdì 17 maggio 2013

A propositi dei miracoli evangelici (Parte prima). 40


Dopo Marco, l'amplificazione dei miracoli operati da Gesù subisce negli altri evangelisti un'impennata molto forte e nei Vangeli apocrifi addirittura fortissima. È un crescendo inarrestabile a mano a mano che passano gli anni e che la tradizione si consolida.

Nell'antichità e soprattutto ai tempi di Gesù, non solo in Palestina, ma in tutto l'impero romano, i miracoli erano all'ordine del giorno. Allora il mondo era dominato dalla superstizione e da fedi apocalittiche per cui il soprannaturale e il meraviglioso erano la norma, non l'eccezione. Ovunque vagabondavano visionari, guaritori, taumaturghi, ispirati da Dio, ai quali venivano attribuiti miracoli di ogni genere, anche la resurrezione dei morti. Petronio Arbitro riassume in una battuta sarcastica lo spirito della sua epoca affermando che le presenze divine pullulavano così numerose al suo tempo che era più facile, per la strada, incontrare un dio che un uomo. 

Tutti facevano miracoli, anche gli Imperatori. Vespasiano, come ci tramandano Tacito, Svetonio e Dione Cassio, guarì paralitici e ciechi, esattamente come fece Gesù, spalmando sulle ciglia un miscuglio di saliva e di polvere. Contemporaneo di Gesù visse il filosofo neopitagorico Apollonio di Tiana che, accompagnato da numerosi discepoli, percorse l’Asia Minore, la Siria, la Grecia fino a Roma, operando prodigi e miracoli come un inviato divino, e dopo la morte, secondo la leggenda, resuscitò e salì al cielo. Una controfigura di Gesù.

All’interno di questo clima superstizioso possiamo ammettere alcuni dei cosiddetti miracoli di Gesù, riconducendoli a influenze di natura psicologica per la guarigione di malattie psicogene, neurasteniche, isteriche e schizofreniche. Oggi diremo “psicosomatiche”. Ma è indubbio che i racconti evangelici hanno ampliato a dismisura questi interventi psicologici di Gesù, forse ad imitazione dei gesti leggendari del profeta Eliseo.

Già nel Vangelo di Marco, il più sobrio e contenuto dei quattro Vangeli, abbondano i miracoli attribuiti a Gesù, ma in Matteo, che considerava troppo riduttive le notizia fornite da Marco, i miracoli vanno via via moltiplicandosi e la loro amplificazione arriva spesso al grottesco. Se Marco ci fa sapere, ad esempio, che a Cafarnao Gesù «guarì molti», ecco che per Matteo «guarì tutti». Se appena Gesù compare in pubblico, intorno a lui si affollano gli ammalati di tutta la Galilea, per Matteo si aggiungono anche quelli provenienti dalla Siria.

Spesso in Matteo i miracoli sono raddoppiati rispetto a Marco. Quando Marco racconta che Gesù, uscendo da Gerico, risana un cieco, Matteo, riferendo lo stesso episodio, dice che ne sanò due. Così in molte altre occasioni. Ma dove Matteo arriva al grottesco è quando descrive le guarigioni fatte in serie come in una catena di montaggio. "Attorno a lui (Gesù) si radunò molta folla recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì. E la folla era piena di stupore nel vedere i muti che parlavano, gli storpi raddrizzati, gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano" (Matteo 15,30-31). Tutto ciò è chiaramente fuori d'ogni realtà e ci troviamo di fronte a delle chiare esagerazioni mitologiche.

Anche il miracolo della moltiplicazione dei pani, assolutamente improponibile, viene da Matteo ulteriormente ampliato. Marco parla di «circa» quattromila
persone, Matteo accresce il miracolo trasformandole in «circa quattromila uomini» e soggiungendo: «Senza contare le donne e i bambini». La folla, dunque, a sentir lui, sarebbe stata circa il doppio. A proposito di questo paradossale miracolo, vale la pena ricordare che Lattanzio, uno dei più famosi e dotti Padri della Chiesa, ci rende edotti che lo stesso episodio era stato raccontato, qualche secolo prima, dalla Sibilla Eritrea, in questi termini: un profeta "con cinque pani e due pesci nutrirà 5000 uomini nel deserto e, raccogliendone le briciole, ne riempirà dodici panieri". Qui i casi sono due: o la Sibilla Eritrea era veramente una profetessa coi fiocchi o gli evangelisti, come è evidente, l'hanno scopiazzata di sana pianta.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)