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venerdì 10 maggio 2013

Il Vangelo di Giovanni (Quinta parte) 38


Il Vangelo di Giovanni poté diventare utilizzabile dalla Chiesa solo mediante un‘opera di rimaneggiamento. Inoltre, questo Vangelo, nato probabilmente in Asia o in Siria al principio del Il secolo (come anche la Prima Epistola di Giovanni), venne rimaneggiato alcuni decenni più tardi, perché la Chiesa aveva condannato l’originale; e se non fosse stato troppo noto e popolare, forse Io avrebbe fatto scomparire del tutto.

E così, verso la metà del II secolo, questo «scritto eretico» venne ecclesiastizzato da un anonimo redattore, che, limitandosi ad aggiunte senza ricorrere a soppressioni, non poté evitare le incongruenze. Nel testo antico gli ebrei figuravano quali creature del demonio: nella sua rielaborazione la salvezza viene proprio da loro! Interpolazioni ecclesiastiche più consistenti sono la pericope dell’adultera (Giovanni 7, 53; 8, 11) e l’intero capitolo 21 che tenta di recuperare il ruolo primario di Pietro mediante la triplice affermazione di Gesù risorto "pasci le mie pecorelle" (Giovanni 21,15-17). Essendo chiaramente un falso accettato da tutta la teologia critica e anche da teologi cattolici si può desumere chiaramente che il Vangelo si concluda col capitolo 20.

Il rimaneggiamento ecclesiastico si propose, fra l’altro, di far apparire il Vangelo come opera dell’apostolo prediletto Giovanni; e anche se il suo nome non viene menzionato, esso provvide non senza astuzia a che si imponesse, per così dire, da solo. I cristiani d’Asia Minore credevano di sicuro alla paternità dell’Apostolo, evincendone il nome dal testo più agevolmente che se egli stesso lo avesse dichiarato apertamente.

Negli ambienti «ortodossi» il Vangelo di Giovanni, pur così popolare, non godette di una buona fama. Gli «eretici» Valentino ed Eraclio lo rivalutarono per primi, riconoscendovi l’espressione di una personale convinzione religiosa. Eraclio ne scrisse persino il primo commento.

Sembra anche che lo preferissero gli eretici montanisti; al contrario, non viene menzionato da nessuno dei Padri apostolici. E persino la Roma ecclesiastica vi si contrappose duramente sulle soglie del Il secolo, talvolta con repulsione esplicita. In seguito, però, la Chiesa cominciò a porre in secondo piano o a reinterpretare attraverso il quarto Vangelo i Sinottici, più antichi e perciò più arretrati. In fondo, per gli scopi della Chiesa ufficiale, esso appariva più fecondo, nella misura in cui con la sua rappresentazione di Cristo il processo di divinizzazione di Gesù era pressoché compiuto.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)