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venerdì 25 ottobre 2013

La discesa agli inferi. 82

I cristiani del I secolo non si posero mai il problema di che cosa fece Gesù dopo la morte sulla croce. Nessuno degli Evangelisti vi fa riferimento e tace in proposito la maggior parte dei restanti autori neotestamentari. Solo la prima Epistola di Pietro, falsamente attribuita a questo apostolo, accenna di sfuggita alla permanenza del Signore nell’Inferno per alcuni giorni, per attuare la salvazione delle anime di quanti erano morti in precedenza. Questa è l'unica prova neotestamentaria fondamentale del dogma.

Il descensus ad inferos, che oltre che dalla Chiesa, in un primo tempo fu insegnato esclusivamente da Marcione (Secondo Iren., adv. haer. 27, 3), nacque, solo nel II secolo, e fu a partire dal IV secolo che i Sinodi si preoccuparono di inserire nella professione apostolica di fede la postilla «discese all’Inferno»!

Ma l’idea che gli dei discendevano nel mondo sotterraneo era corrente da molto tempo nella tradizione religiosa pagana (ad esempio, nei miti egizi, babilonesi ed ellenistici), nella quale svolgeva un ruolo decisivo per la determinazione della fede nell’immortalità.
Nell’antico Egitto, Ra e Osiride combatterono le forze dell’oltretomba, a Babilonia si conosceva un viaggio infernale di Istar già nel III millennio a.C., ed esiste un testo del XlV secolo a.C. che racconta il viaggio sotterraneo del dio Nergal, il quale prende d’assalto il mondo infernale, sconfiggendone gli eserciti e suscitando un violento terremoto. Nella discesa del dio Marduk è descritta la grande gioia provata dai prigionieri all'arrivo del loro Salvatore. E anche la discesa infernale di Eracle, descritta da Seneca, il dio reca la luce ai pallidi defunti e li libera dal carcere, non diversamente da quanto farà Cristo.

Per gli studiosi, quindi, vi è una chiara dipendenza della discesa di Cristo agli inferi da quella degli dei dell'antichità. Però per i cristiani delle origini
era necessario trovarne le prove nel Vecchio Testamento, che verso la metà del Il secolo era ancora l’unica scrittura sacra autorevole per loro. Ma siccome nella Bibbia ebraica non ve n’era traccia, si provvide a crearla, falsificando un nuovo versetto di Geremia, che dissero essere stato cassato dal testo per mano degli ebrei (Giustino, Dialogo con l'Ebreo Trifone, 12 sgg; 16 sgg.; 26 sgg.). Il dottore della Chiesa Ireneo fa riferimento a questa falsificazione cristiana non meno di sei voltei (Ireneo, Contro gli eretici).

Il viaggio infernale di Cristo divenne ben presto un tema popolare nel mondo cristiano dal II secolo in poi e assunse gradualmente arricchimenti esornativi e anche caratteristiche drammatiche, e non pochi autori cristiani inviarono in quel luogo spaventoso anche gli Apostoli in veste di predicatorie di battezzatori.


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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)