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martedì 8 luglio 2014

Il cristianesimo paolino rinnega totalmente l'ebraismo da cui deriva. 155

Quando Paolo maturò la convinzione che la parusia era procrastinata ad un tempo, forse indefinito, e si rese conto che i pagani suoi seguaci, come la maggior parte di coloro che praticavano i culti misterici, aspiravano soprattutto all'immortalità dell'anima, con alacrità febbrile si diede a creare la sua nuova teologia nell'intento di elaborare una religione che accogliesse, in un geniale sincretismo, le aspirazioni del mondo ebraico e di quello gentile, e che appagasse l'immaginario collettivo di un Salvatore universale, che trasversalmente era condiviso da tutto il mondo antico.

Così egli si diede ad elaborare il trapasso dall’originario cristianesimo escatologico, sostenuto dai cristiano-giudei, ad un nuovo cristianesimo sacramentale e trascendente, che al posto dell'imminente avvento del messianico Regno di Dio sulla Terra, ansiosamente atteso dagli Apostoli, sostenesse il concetto greco di immortalità nell'aldilà e trasformasse il Messia escatologico nel Figlio di Dio, Redentore dell'umanità. Senza questa trasformazione, la mancata realizzazione del Regno di Dio in Terra in seguito al rinvio, sine die, della parusia, avrebbe segnato la fine di ogni cristianesimo.

La credenza dell'immortalità, divenuta per Paolo la colonna portante della dottrina che stava creando, era diffusa tra i pagani seguaci delle Religioni Misteriche, ma totalmente ignorata dagli ebrei. Per l'Antico Testamento, infatti, non c'era un aldilà dove la parte spirituale dell'uomo avrebbe continuato a vivere, in un paradiso, se buona, o nell'inferno, se malvagia. Nella Bibbia ebraica sta scritto: «La sorte degli uomini e delle bestie è la stessa, come muoiono queste muoiono quelli. C’è un soffio vitale per tutti: non esiste superiorità dell’uomo rispetto alle bestie, perché tutto è vanità» (Qohélet 3,19). Con la morte, quindi, secondo il teologo biblico, tutto finisce, sia l'anima sia il corpo, perché tutto è venuto dalla polvere e tutto ritorna nella polvere.

Infatti i Sadducei, cioè l’alto clero del Tempio di Gerusalemme detentore dell'ortodossia ebraica, sostenevano che Mosè non aveva mai parlato né dell'immortalità dell'anima, né della "resurrezione dei morti", e non credevano nella perpetuazione dell'individuo dopo la morte, in corpo e spirito. Quindi, per loro, non esisteva un aldilà dove le anime sarebbero state punite con l'inferno o premiate col paradiso.

Invece i culti misterici, diffusi in Occidente alcuni secoli prima del cristianesimo e interiorizzati e moralizzati dai greci, ponevano l'immortalità a base della loro dottrina e la associavano alla redenzione di un Dio che si incarnava in una vergine mortale per redimere l'umanità dalle sue colpe e renderla degna di una vita eterna e beata in un mondo utopistico, collocato nell'aldilà.

L’intero dramma salvifico del cristianesimo - preesistenza, incarnazione, martirio, morte, resurrezione, discesa all’Inferno e ascesa in cielo – risulta, quindi, una contaminazione di concezioni misteriche e di filosofia ellenistica. E si configura come una totale negazione dell'ebraismo.





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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)