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martedì 29 luglio 2014

L'ascetismo paolino introdusse nel cristianesimo una forma aberrante e psicotica di penitenza. 161

La parola ascetismo (dal greco áskesis: esercizio, allenamento), era in origine riferita all’ambito atletico, inteso come irrobustimento del corpo. Ma con Platone questo termine mutò completamente significato, e con un totale capovolgimento semantico prese ad indicare il ferreo dominio delle passioni, la mortificazione del corpo, la rinuncia ad ogni forma di mondanità e di gioia di vivere. Nei Vangeli non troviamo traccia di una simile teoria. Gesù, non l’ha né predicata né praticata. Anzi, leggiamo che i farisei lo trattavano da gaudente perché ignorava i digiuni e partecipava con gioia ai banchetti. Quindi questa forma aberrante e psicotica di penitenza è una invenzione di Paolo.


Nelle sue Lettere, egli si scaglia con delirio contro il corpo, da lui chiamato la “carne”, considerato la sede del peccato, e impone al cristiano di «spossare e asservire il corpo», di «ucciderlo» (1 Cor. 9,27; Galati, 5,24; Romani, 8,13; Colossesi 3,5), in quanto esso è un «corpo di morte» e «odio contro Dio» (Romani, 7,18; 7,24; 8,6 sgg.


Dobbiamo solo a lui l’introduzione nel cristianesimo, di cui è l’assoluto inventore, di questa forma disumana e mostruosa di rinuncia alle gioie della vita e ai sani istinti del corpo. Le turpitudini che egli attribuisce all'uomo sono talmente tante da farlo ritenere più malvagio degli animali allo stato brado. Quindi la vita del cristiano, per contrastare la sua degradazione, doveva incentrarsi nell’ascesi.


La Chiesa, fin dalle sue origini, ha accettato in pieno queste sue aberrazioni e ha considerato l'uomo il più infimo degli esseri viventi, un verme immorale e degradato, perennemente in preda alle nefandezze più perniciose e incapace da solo di perseguire la salvezza. Ecco perché per i Padri e Dottori della Chiesa (Basilio, Gregorio di Nissa, Lattanzio, Origene, Tertulliano e così via) il mondo andava inteso come una valle di lacrime e la vita terrena un “letamaio”. Si doveva sempre vivere nel lutto e nella penitenza, vestiti di stracci e coi capelli incolti.


Nella Chiesa primitiva, e per tutto il Medioevo, la fuga dal mondo, l’astinenza, la rinuncia ai sensi e alla corporeità, la mortificazione più ossessiva, una vita ininterrotta di penitenza e di pensieri fissati sul mea culpa, erano l’imperativo categorico non solo di molti ecclesiastici ma anche del popolo minuto. San Basilio, dottore della Chiesa, proibiva ai cristiani qualsiasi divertimento, anzi persino il riso e le gioie più innocenti della vita. San Gregorio di Nissa paragonava l’intera esistenza umana ad un “letamaio” e considerava peccaminoso anche odorare il profumo di un fiore o contemplare la bellezza di un tramonto.



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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)