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venerdì 18 luglio 2014

La dottrina cristiana della redenzione non deriva da Gesù ma da Paolo. 158

Secondo il teologo F. Overbeck: tutti gli aspetti più belli del Cristianesimo sono legali a Gesù, tutti quelli deteriori a Paolo. Da una attenta lettura dei Vangeli e basandoci su tutto ciò che è stato tramandato su Gesù si può affermare con certezza che la dottrina paolina della redenzione fu completamente estranea al Maestro.
Infatti, Gesù predica un «Padre» che non perdona il peccatore pentito mediante una mediazione espiatoria ma un «Padre» che, come nella parabola del figliol prodigo, va egli stesso alla ricerca del peccatore. Gesù non fa dipendere la remissione dei peccati dalla sua morte, bensì, come insegna nel Pater Noster e in altri luoghi, unicamente dalla disponibilità degli uomini a perdonare il prossimo (Mt. 6, 12; 6, 14 sg.; Mc. 11,25 sg.).

Se la sua morte fosse stata da lui ritenuta necessaria per la redenzione e per la remissione dei peccati, come avrebbe potuto dire a Dio che il calice amaro della crocifissione gli venisse allontanato «Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice!» (Mt 26,39) e al peccatore «i tuoi peccati ti sono perdonati»? (Mc. 2, 9 sgg.).

Con la teoria della redenzione l’insegnamento originario del Vangelo non venne solo modificato, ma anche svuotato di significato. È significativo il fatto che per gli Ebioniti, gli immediati eredi della Chiesa dei giudei cristiani, la morte di Gesù sulla croce non ebbe alcun carattere conciliatorio né alcun significato salvifico, e perciò essi non usavano calici durante la loro agape fraterna, celebrata significativamente con estrema semplicità con pane e acqua come leggiamo negli Atti.

Quest'agape non aveva niente a che vedere con la cerimonia eucaristica di invenzione paolina. Ai cristiano-giudei sarebbe sembrato, infatti, sacrilego ed empio collegare questo pasto comunitario al corpo e al sangue di Cristo, in una specie di cannibalismo rituale. Com’é noto, i discendenti degli Apostoli negavano anche la divinità di Gesù e la sua nascita da una vergine.

E allora, da dove trasse Paolo la propria teoria della salvazione? La purificazione dai peccati mediante il sangue era praticata da molti popoli primitivi, ed era anche antichissima la credenza nella salvazione dell’umanità mediante il sacrificio del «figlio».

Nell’antica religione babilonese Marduk venne inviato sulla terra dal padre Ea per salvare gli uomini; Eracle e Dioniso discesero anch’essi sulla terra come divinità redentrici, Nel culto di Mitra il sangue di un toro ucciso, versato sul peccatore, lo purificava dalle colpe; in sanscrito era molto usata la parola significante «riconciliare», «placare la collera divina»

.Nell’antichità era altresì diffusissima l’idea del re, che soffre e muore per il suo popolo. Un’opera cristiana del primo secolo ricorda i numerosi monarchi pagani, che in circostanze critiche, in seguito a un responso oracolare, avevano sacrificato la vita «per salvare i concittadini col proprio sangue». Anche il Sommo Sacerdote Caifa allude a tale concezione, quando consiglia ai Giudei ch’era meglio per loro «che un singolo perisse per il popolo, e non che un intero popolo precipitasse nella rovina». Tertulliano, Padre della Chiesa, intorno al 200 scriveva:«Nel mondo pagano era consentito riconciliarsi mediante sacrifici umani con la Diana degli Sciti, col Mercurio dei Galli e col Saturno degli Africani; ancor oggi, proprio a Roma, viene versato sangue umano in onore di Giove Latino».

Verso la metà del III secolo anche Origene fa un chiaro riferimento a questa
usanza specifica del Re e del Giusto, che patisce e muore per le colpe del suo popolo, parlando dei «numerosi racconti di Greci e Barbari, che trattano della morte di pochi in nome del bene comune, per liberare le loro città e i loro popoli dalle disgrazie che li opprimevano. In occasione di questi atti di riconciliazione, spesso venivano uccisi anche dei malfattori, come avveniva ancora in epoca tarda nella greca Rodi e a Marsiglia.

Gli Ebrei d’età più antica condividevano con Cananei, Moabiti e Cartaginesi
l’usanza di uccidere dei bambini per riconciliarsi con la divinità. In seguito al posto
dei bambini subentrarono i delinquenti. Anche l’agnello pasquale, arrostito a forma
di croce (simbolo religioso presente già in epoca precristiana), era un surrogato
dell’uccisione del primogenito.

Simili usanze erano note a Paolo, che una volta vi allude nelle sue Lettere e che probabilmente lo spinsero a considerare il fatto che anche Gesù era stato giustiziato come malfattore per redimere l'umanità come tutti gli uomini immolati prima di lui. Paolo nelle sue Lettere predica continuamente la riconciliazione e la redenzione , l’espiazione «nel suo sangue», la redenzione «mediante il suo sangue», la pacificazione «attraverso il sangue versato sulla croce». Evidentemente non fu nemmeno sfiorato dal pensiero che Dio potrebbe, perdonare una colpa anche senza una riparazione «ufficiale».

A qualsiasi uomo d'oggi che usi almeno qualcuno dei trilioni di neuroni che possiede il suo cervello risulta lapalissiana l'assurdità che il buon Dio abbia creato il mondo per darlo in preda al demonio che incita al male, come ci ricorda Arthur Schopenhauer, e poi sia stato costretto a sacrificare suo figlio per redimere le colpe degli uomini da lui creati peccatori incalliti. Ma purtroppo, pochi colgono questa ovvietà che nega ogni validità alla redenzione e ad ogni altra assurdità religiosa.


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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)