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venerdì 25 luglio 2014

Per la teologia paolina, Cristo si è incarnato per redimere l’umanità peccatrice e donarle il dono dell'immortalità. 160

Paolo in tutte le sue Lettere, specialmente in quella ai Romani, denuncia con accenti apocalittici la connaturata malvagità di tutti gli uomini, l’incapacità dell’uomo al bene, la sua ineluttabile perdizione, per concludere che, quanto più l’uomo è malvagio, tanto più è necessaria la sua redenzione e attribuisce al peccato originale la causa suprema della decaduta morale dell'umanità.


Ma in nessun passo dei sinottici Gesù riconduce la peccaminosa miseria degli uomini a una colpa primigenia, e tanto meno al peccato originale. Evidentemente la narrazione biblica della caduta non ebbe per lui quell’importanza decisiva attribuitale da Paolo e e portata alle estreme conseguenze poi dalla Chiesa.


Peccato originale e redenzione diventano quindi inscindibili per Paolo e per il cristianesimo, come verrà confermato da Tommaso d’Aquino con la celebre formula: «Peccato non existente, Incarnatio non fuisset»; cioè: «Se non vi fosse stato il peccato [originale], non avrebbe avuto luogo neppure l’Incarnazione» («Summa Theologiae», III, q. 1, a. 3).

Alcuni teologi cattolici hanno tentato di spiegare il silenzio assoluto di Gesù sul dogma del peccato originale, sostenendo che i suoi uditori non sarebbero stati ancora in grado «di cogliere il significato di un tale mistero». Solo Paolo ne fu capace e, dopo di lui, Sant'Agostino che lo strombazzò così tanto che nel XVI secolo la Chiesa lo elevò a dogma. Ma l’astruso teologismo del peccato originale non è specificamente cristiano, se è vero che concezioni analoghe erano assai diffuse nelle religioni pagane. Intorno al 2000 a.C. un poeta sumerico scriveva: «Mai da donna nacque bambino senza peccato».


Per Paolo quindi Cristo si era incarnato per redimere l’umanità peccatrice e donarle il dono dell'immortalità. "Vi sia dunque noto, fratelli, che per opera di lui (Cristo) vi viene annunziata la remissione dei peccati e che per lui chiunque crede riceve giustificazione (perdono) da tutto ciò da cui non fu possibile essere giustificati mediante la Legge di Mosè (Atti 13,38-39).


Ma, associata all'immortalità c'è l'idea terrificante del giudizio di Dio al momento della morte per stabilire se, in base alla nostra condotta, meritiamo il premio o il castigo nell'aldilà eterno. Secondo Paolo, per il superamento positivo di questa prova e meritare la felicità eterna, il cristiano aveva l'obbligo di praticare, durante il suo soggiorno terreno, una vita virtuosa imperniata sull'ascetismo più assoluto.



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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)