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martedì 11 novembre 2014

I Vescovi della Chiesa antica venivano eletti dal popolo, spesso tra risse tumultuose. 185

I vescovi del periodo più antico non venivano nominati dall'alto ma scelti
ed eletti dalla comunità Una diffusa regola ecclesiastica del III secolo stabiliva: «Sarà insediato come vescovo colui che sarà stato scelto dal popolo», e fino alla metà del III secolo qualsiasi laico poteva diventare subito vescovo, senza aver ricoperto prima nessuna carica ecclesiastica; era sufficiente che fosse onesto,
caritatevole, amante del vero, disponibile, alieno dalla cupidigia, buon marito e pa-
dre di famiglia.

Una stessa comunità,se numerosa, poteva avere più vescovi e persino piccoli villaggi avevano i propri episcopi. Ma a partire dal IV secolo ebbe inizio la lotta fra i«Vescovi di città» e «Vescovi di villaggio» che si concluse con la vittoria dei vescovadi più vasti. Nel Concilio di Nicea (325) erano ancora rappresentati numerosi vescovi di piccole comunità di villaggio, forniti di prerogative
sostanzialmente eguali a quelle dei loro colleghi cittadini. Nelle comunità piuttosto popolose le elezioni del vescovo erano estremamente tumultuose, accompagnate da acclamazioni e da risse, tuttavia osservavano sempre rigorosamente una legalità formale.

Ma con l'accrescersi del potere episcopale, soprattutto economico,nella scelta dei vescovi l’intervento dello Spirito Santo assumeva spesso forme poco ortodosse, come ci dimostra la testimonianza del Padre della Chiesa Gregorio di Nazianzio.
Con evidente imbarazzo e sorvolando sui dettagli, egli ci informa di un’elezione avvenuta a Cesarea, durante la quale (cosa allora niente affatto rara) erano scoppiati violenti disordini, sedati a stento dalle autorità, anche perché - come afferma Gregorio - il prestigio del seggio episcopale attizzava l’asprezza dello scontro. Alla fine fu raggiunto un accordo, ma non su un candidato cristiano, bensì «su un notabile cittadino, moralmente irreprensibile, ma non ancora battezzato».

Tuttavia, questo pagano, non attribuendo alcuna importanza al prestigioso seggio vescovile, non volle ricoprire la carica; ma ciò non impedì che «con l’ausilio della guarnigione militare presente in città venisse trascinato contro la sua volontà davanti all’altare e un po’ con le suppliche, un po’ con le minacce fosse costretto a subire il battesimo e ad accettare la nomina».

Gregorio giustifica tale procedura piuttosto anomala col «fervido entusiasmo dei
credenti». I fedeli, dunque, trasformarono questo pagano recalcitrante nel som-
mo pastore cristiano di Cesarea, procedendo sbrigativamente al battesimo, all’ele-
zione e all’intronizzazione.

Ora, dal racconto imbarazzante di Gregorio sappiamo che a quei tempi per l'elezione di un vescovo accadessero delle vere e proprie sanguinose battaglie tra i fedeli. Allorché nel 366 i pretendenti vescovi Damaso e Ursino si contesero il trono episcopale della Città Eterna, i partigiani delle due fazioni si massacrarono crudelmente persino nelle chiese, tanto che in un solo giorno ne furono estratti centotrentasette cadaveri. Naturalmente si verificavano campagne elettorali condotte con metodi un po’ meno rozzi, ad esempio per mezzo di gigantesche operazioni di corruzione dirette nascostamente sia dal candidato, sia da qualche facoltosa favorita ben disposta verso il futuro servo di Dio. Gli stessi Padri della Chiesa non possono fare a meno di alludere al fatto che in occasione di simili elezioni la «massa» veniva letteralmente comprata

I metodi corrotti della lotta politica e dell’elezione degli imperatori propri della
Roma antica continuarono tranquillamente con la Chiesa. Ci furono anche seggi episcopali ereditari. Policrates di Efeso fu l’ottavo vescovo nella sua famiglia, come ci fa sapere Eusebio di Cesarea.

Fino al 483 i vescovi di Roma vennero eletti dal popolo romano. In seguito, i fedeli persero i diritti elettorali conservando solo quello dell’assenso a cose avvenute; abitudine che si è mantenuta fino ai nostri giorni, quando il papa neoeletto si affaccia alla loggia di S. Pietro per raccogliere il tifo giubilante della folla raccolta in piazza dalla fumata bianca.


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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)