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venerdì 14 novembre 2014

Ignazio di Antiochia 186

Il vescovo antiocheno Ignazio fu un vero e primo assertore dell'episcopato monarchico. Lo deduciamo dalle sue Lettere, sette delle quali, furono composte forse verso la metà deI II secolo. Esse sono oggi giudicate autentiche dalla maggior parte degli studiosi, anche se vennero verosimilmente rielaborate in senso «cattolico» verso la fine del secolo. Le altre sue dieci Lettere, fra cui una indirizzata alla Vergine, con annessa risposta (altro che il nostro servizio postale!) furono falsificate e a lui attribuite dalla Chiesa antica.

Ignazio, il più zelante antieretico del suo tempo, gratificava tutti i cristiani di
differente opinione con epiteti poco evangelici (a similitudine di Paolo di Tarso) :«fiere selvagge», «cani pazzi», «bestie in umane sembianze», e i loro maestri «fetida immondizia». Possiamo definirlo il «classico della dottrina cattolica intorno alla figura del vescovo». Nella sua opera viene attestato per la prima volta il termine «cattolico» (Ign., Smyrn. 8, 2), che non fu creato dalla Chiesa, ma assunto dalla lingua greca. Dobbiamo però precisare che, almeno nella Chiesa antica,la parola «cattolico» non equivaleva a «cattolico romano». Per la prima volta nei suoi scritti viene delineato il quadro complessivo di un’organizzazione gerarchica completamente strutturata: un vescovo, un collegio di presbiteri a lui sottoposto, e in sott’ordine i diaconi.

Ma per il vescovo Ignazio, cui dobbiamo la parola «cattolico», è la carica episcopale la quintessenza della cristianità. «E’ chiaro - afferma nelle sue Lettere - che bisogna rispettare il vescovo come Dio stesso». Il vescovo è per lui l’immagine del Signore, il ricettacolo delle rivelazioni celesti. Senza di lui la comunità cristiana non può sussistere, né può sussistere la coscienza pura, il battesimo effettivo, l’agape e l’eucaristia.

Ha così inizio il collegamento dell’atto sacramentale alla persona del vescovo (o di un suo incaricato), che determinerà ineluttabilmente la costituzione di una contrapposizione fra chierici e laici, totalmente ignota al cristianesimo primitivo. Infatti, la comunione poteva originariamente essere assunta anche nei gruppi più piccoli, come, ad esempio, in una comunità domestica. Si tratta ancora dei primi passi, ma è possibile individuarvi chiaramente l’adeguamento progressivo del culto cristiano al modello pagano delle religioni misteriche.

Il vescovo Ignazio pretende per i vescovi tutti i poteri dottrinali e ordinamentali, la totale sottomissione dei presbiteri e dei diaconi e soprattutto l’obbedienza incondizionata dei fedeli. Dio gradisce solo ciò che il vescovo approva
«Senza il vescovo non dovete fare assolutamente nulla - afferma Ignazio - e chi onora il vescovo, viene onorato da Dio; chi fa qualcosa senza il vescovo, si pone al servizio del demonio». Egli non si stanca di inculcare nelle comunità questi concetti, mettendole contemporaneamente in guardia contro eretici e scissioni: l’ortodossia è come «l’idromele», l’eresia è «un veleno mortifero». «Se qualcuno seguirà uno scismatico, non potrà ereditare il Regno di Dio»; «ma dove c’è il pastore, allora seguitelo come le pecore». Nonostante questa idolatria per l'episcopato, Ignazio, incredibilmente, non fa risalire agli Apostoli questa fondamentale istituzione.


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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)