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venerdì 10 aprile 2015

42 - “L'invenzione del cristianesimo” - Parte seconda. Paolo di Tarso. Seconda visita a Gerusalemme e secondo viaggio missionario.

Di fronte alle proteste piuttosto dure di Paolo e Barnaba, gli apostoli li convocarono a Gerusalemme per un chiarimento. L’esito dell’incontro fu un armistizio precario: a predicare ai giudei provvedeva la comunità di Gerusalemme, ai pagani invece Paolo che otteneva per loro la dispensa provvisoria dalla Legge ma anche l'obbligo di osservare un minimo rituale giudaico (Galati 2,10; Atti, 15,28 sgg.). Era sottinteso però, che gradualmente, frequentando le sinagoghe, i cristiani ellenisti avrebbero abbracciato l'ebraismo e si sarebbero sottoposti alla circoncisione.
Quando poco dopo Pietro giunse ad Antiochia per una visita, il fragile armistizio saltò e tra Pietro e Barnaba da una parte e Paolo dall'altra scoppiò un contrasto sulle norme alimentari che si rivelò subito insanabile.
Nello scontro Pietro perse la faccia, in quanto accettò di sottostare alle disposizioni impartite da Giacomo (il vero primo degli apostoli), e Paolo si ritenne libero di dare regole e direttive proprie ai suoi seguaci, considerandosi non più vincolato con Gerusalemme.
Da quel momento Paolo fu duramente osteggiato da tutti i giudeo-cristiani che cominciarono a contestare il suo apostolato tra i pagani e ad accusarlo di falsità e di ipocrisia e di predicare non la parola di Gesù, ma se stesso.
I rapporti con la Chiesa di Gerusalemme divennero da allora in poi sempre più difficili, ma Paolo, obtorto collo, in un primo momento dovette subirli. La sua autorevolezza era ancora troppo scarsa rispetto a quella degli apostoli e soprattutto di Giacomo, considerato la colonna della nuova Chiesa.
Ormai sempre più convinto che il suo apostolato avrebbe incontrato l'ostilità dei connazionali della diaspora, Paolo decise di ripartire per una seconda missione in Asia Minore e in Grecia per dedicarsi soprattutto ai pagani.
Ma fece in modo di non portare con sé Barnaba perché, dopo l'accusa d'ipocrisia che gli aveva rivolto durante lo scontro di Antiochia, non si sentiva più in sintonia con il collega
Questo rifiuto scatenò l'ira di Barnaba che, da allora, lo abbandonò definitivamente e partì per un'altra missione assieme a Marco, figlio di Pietro. In questo suo secondo viaggio, Paolo dovette portare con sé Sila, inviato da Gerusalemme per stargli al fianco e spiarlo. Non aveva ancora deciso di rompere definitivamente coi cristiano-giudei; stava però già elaborando la sua nuova teologia, senza farla trapelare per non insospettire Gerusalemme.
Forse fu durante questo periodo di collaborazione con Sila che Paolo fece redigere, sotto la sua supervisione, il testo evangelico da lui usato per evangelizzare l'Asia Minore. Una copia di questo fu probabilmente spedito alla comunità giudeo-cristiana di Roma, quando alcuni ebrei (forse Prisca e Aquila), esiliati alcuni anni prima per editto dell'imperatore Claudio e diventati seguaci di Paolo a Corinto, poterono rientrare nella capitale dell'Impero.
A proposito dell'editto di Claudio, appena accennato, vale la pena di considerarlo con più attenzione perché potrebbe illuminarci sul clima di tensione che esisteva tra i giudei della diaspora, rimasti fedeli alla sinagoga, e i cristiano-giudei che si erano introdotti tra di loro per propagandare la nuova dottrina della parusia.
Abbiamo visto in precedenza che alcuni cristiano-giudei di Antiochia si erano trasferiti a Roma e con la loro predicazione dell'imminente ritorno di Gesù dal cielo per creare il nuovo Stato santo d'Israele, avevano gettato scompiglio nella numerosa e piuttosto malvista comunità ebraica. Secondo gli storici romani Tacito e Svetonio questa setta cristiana era animata da odio non solo contro i romani ma addirittura contro l'intero genere umano. A giustificazione di questo loro giudizio, piuttosto pesante, va ricordato che i cristiani ebrei di Roma erano fortemente imbevuti di messianismo e consideravano imminente la distruzione dell'impero romano per opera di Jahvè.
A riprova di ciò basti citare quanto scriveva allora Giovanni, l'autore dell'Apocalisse, in quel suo libro profetico, considerato rivelato dalla Chiesa Cattolica: "Ecco, (Cristo) viene sulle nuvole e ognuno lo vedrà; quelli che lo trafissero (cioè i romani) e tutte le nazioni della Terra si batteranno il petto per lui" (Apocalisse 1,7). E prosegue definendo Roma come la grande Babilonia, la madre delle meretrici e degli abomini della Terra e auspicando una sua distruzione imminente. Parole che denunciavano un clima infuocato ed esaltato da parte di questa minoranza cristiana.
La tensione tra i giudei cristiani, legati al messianismo jahvista, e i giudei della sinagoga, che invece volevano semplicemente osservare i precetti della Torah e occuparsi dei fatti loro, esplose violenta nel 41 e costrinse l'imperatore Claudio ad espellere dalla capitale gli ebrei cristiani perché (secondo Svetonio) erano continuamente in tumulto per istigazione di Chrestus, (deformazione del nome Cristo?).
Questo episodio è molto significativo e ci fa capire, come abbiamo denunciato in precedenza, perché anche Paolo, durante il suo apostolato in Asia, entrasse spesso in conflitto con gli ebrei della sinagoga e fosse più volte da loro percosso e minacciato di lapidazione.
Questi ebrei non volevano saperne della fine dei tempi e del ritorno del Risorto, che probabilmente consideravano un falso Messia, volevano rimanere fedeli alla Torah, essere lasciati in pace e occuparsi dei fatti loro. Consideravano Paolo e i suoi collaboratori degli istigatori. "Quei tali che mettono il mondo in subbuglio sono qui…Tutti costoro vanno contro i decreti dell'Imperatore affermando che c'è un altro re, Gesù" (Atti 17,6-7). Ambrogio Donini in “Storia del Cristianesimo”, Teti, Milano, 1975, a proposito del nome di cristiani afferma: “Il nome di cristiani è nato in un ambiente non palestinese e veniva usato in senso d'ironico disprezzo (gli “unti”, gli “impomatati”) per distinguere gli ebrei della Sinagoga (ortodossi) dai nuovi convertiti, considerati gente strana, dalla lunga capigliatura, un po' come i nostri capelloni.” Chiaro riferimento al loro voto di nazireato che li costringeva a non far uso di forbici e rasoio.
Naturalmente questi erano i cristiano-giudei legati a Gerusalemme, non i pagano-cristiani seguaci di Paolo.
Partendo da questi antefatti possiamo comprendere la radicale trasformazione di Paolo a Corinto e il conseguente abbandono di Sila. "Quando giunsero dalla Macedonia Sila e Timòteo, Paolo si dedicò tutto alla predicazione, affermando davanti ai giudei che Gesù era il Cristo (cioè l'Unto, il Messia). Ma poiché essi gli si opponevano e bestemmiavano, furibondo per le continue frustrazioni cui lo sottoponevano i suoi correligionari, scuotendosi le vesti disse loro: "Il vostro sangue ricada sul vostro capo: io sono innocente; da ora in poi io andrò dai pagani" (Atti 18,5-6).
Qui siamo di fronte ad una svolta senza ritorno. Paolo ha raggiunto alcune granitiche certezze che saranno alla base della sua nuova strategia: che i suoi correligionari della diaspora erano irrecuperabili e andavano lasciati al loro destino; che l'attaccamento al ruolo messianico di Gesù e alla sua regalità, sempre ostentati dai cristiano-giudei, determinava un ostacolo insormontabile all'evangelizzazione sia degli ebrei della sinagoga, sia dei pagani, perché dava adito alle accuse di violazione degli editti di Cesare, di insubordinazione contro lo Stato e di trasgressione della lex Iulia de maiestate (Atti 17,7). Bisognava quindi avere il coraggio di gettare il messianismo alle ortiche. Sila si rese conto dei cambiamenti che stavano avvenendo in Paolo, l'abbandonò e tornò a Gerusalemme a riferire.
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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)