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martedì 21 aprile 2015

45- “L'invenzione del cristianesimo” - Parte terza. Paolo di Tarso. Le Lettere. 1

Intanto a Gerusalemme Sila aveva informato prontamente la comunità cristiana, diretta da Giacomo, circa gli stravolgimenti che Paolo stava attuando e questa era subito corsa ai ripari inviando in Asia e in Grecia messi incaricati di visitare i cristiano-ellenisti e gli ebrei della diaspora che avevano aderito alla parusia. Costoro, approfittando delle assenze dovute ai suoi frequenti viaggi missionari, si insinuarono nelle comunità paoline con lettere degli apostoli, per «arginare la dottrina fuorviante di Paolo». Tra i Galati si precipitarono «quelli di Giacomo»; a Corinto, i seguaci di Pietro.
Paolo reagì con estrema durezza a questa invasione di campo e accusò gli inviati degli apostoli di predicare un Vangelo falso, mossi dall'invidia, dall'odio e dalla discordia e li maledisse ripetutamente. Nella seconda Lettera ai Corinzi scrive sarcastico: «Genti di tale conio sono falsi apostoli, operai imbroglioni, che di Apostoli del Cristo hanno soltanto la maschera. E non c’è da meravigliarsi: infatti, lo stesso Satana assume la maschera di Angelo della Luce» (2 Corinzi 11,13 e sgg.). Per contrastare più efficacemente l'offensiva di Gerusalemme e per consolidare nella sua fede le comunità cristiane da lui costituite ricorse allora alla sua proficua produzione epistolare, che tanto influenzerà i futuri Vangeli canonici.
Le Lettere furono per lui un potente mezzo di evangelizzazione. Gliene sono attribuite tredici ma alcune sono considerate falsi o manipolazioni di discepoli, come vedremo nell'ultima parte del libro. Costituirono i primi documenti del Nuovo Testamento ed esercitarono una grande influenza sulle comunità cristiane da lui fondate.
Esse trasudano di formule dedotte dal lessico religioso pagano e denotano una fortissima influenza dell’Ellenismo, del Platonismo, della Stoa e perfino dall'Epicureismo, oltre che dei culti misterici. A dimostrazione che Paolo aveva assimilato molti concetti della filosofia greca.
La prima Lettera scritta verso gli anni 49-51 a Corinto, quando Paolo era ancora convinto che il ritorno di Cristo risorto fosse imminente, fu indirizzata ai Tessalonicesi che attraversavano particolari momenti di difficoltà, soprattutto sotto il profilo morale e della parusia. Dopo averli spronati ad un maggior rigore etico, specie nel campo sessuale, egli affrontò la grave questione dell'attesa apocalittica del ritorno del Risorto, da tutti ritenuto imminente.
Quell'attesa spasmodica aveva creato delle situazioni paradossali; molti, infatti, avevano venduto tutti i loro averi per essere liberi da preoccupazioni materiali, e abbandonata ogni tipo di attività, erano scivolati in un ozio pernicioso nell’attesa del ritorno imminente di Gesù dal cielo.
Paolo cercò di superare queste preoccupazioni (ingenerate da lui stesso con la sua predicazione), spiegando che la parusia poteva anche tardare, secondo i piani imperscrutabili del Signore, e invitando tutti ad attendere alle normali occupazioni della vita, rifuggendo dall'ozio malefico. Si intravvedono, però, le sue prime preoccupazioni per questo inspiegabile ritardo e il dubbio che la parusia potesse essere procrastinata all'infinito e ingenerare la sfiducia dei suoi seguaci, portandoli all'abbandono della fede.
Durante un viaggio missionario ad Efeso, la città più importante dell'Asia, Paolo venne a sapere che a Corinto i fedeli si erano abbandonati al vizio della fornicazione e in più si erano divisi in gruppi contrapposti su istigazione dei messi degli apostoli.
Corse subito ai ripari inviando una lettera, conosciuta come la prima Lettera ai Corinzi, nella quale ribadisce con fermezza che il suo insegnamento, derivando direttamente da Dio (tramite le sue rivelazioni celesti), era l'unico che tutti dovevano seguire. Affermazione che egli ribadirà in più occasioni per sancire il principio della sua indiscutibile autorità, derivata per investitura divina.
Questa Lettera è importante perché ci illumina sul suo concetto di morale sessuale, argomento fondamentale della nuova teologia paolina e tema ricorrente della sua predicazione. Scopriamo così che per Paolo la trasgressione sessuale, che Gesù aveva sempre trattato con indulgenza - vedi il suo incontro con la Samaritana (Giovanni 4,17-18)) e la difesa dell'adultera (Giovanni 8,3-11)) - si avvia a diventare il peccato per antonomasia. "Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò io dunque le membra di Cristo per farne membra di una meretrice? Non sia mai!…Fuggite la fornicazione" (1 Corinzi 6,15).
Addirittura per Paolo la lussuria precede ogni altro vizio. Tutti gli altri: idolatria, inimicizia, discordia, ostilità e via discorrendo, vengono dopo (Galati 5,19 e sgg,). Nel suo delirio contro il corpo, da lui chiamato la “carne”, considerato la sede del peccato, egli afferma che il cristiano deve «spossare e asservire il corpo», «ucciderlo» (1 Corinzi 9,27; Galati, 5,24; Romani, 8,13; Colossesi 3,5), in quanto esso è un «corpo di morte» e tutto ciò che vuole «significa morte» e «odio contro Dio» (Romani, 7,18; 7,24; 8,6 sgg.). Quindi la vita del cristiano deve incentrarsi nell'ascesi e nella mortificazione delle passioni. Conseguentemente il sesso viene aborrito e la donna, con marcato disprezzo, considerata soltanto un'entità sessuale, ignorando la grande considerazione che Gesù aveva nutrito per le molte discepole che lo accompagnavano nei villaggi della Galilea. Anche il matrimonio viene disprezzato da Paolo che lo considera una concessione alla carne peccaminosa, un male necessario, consentito solo «onde evitare di cadere in preda alla concupiscenza» (1 Corinzi 7,1 sgg. - 7,8 sgg.).
Per lui sarebbe proferibile rimanere scapoli giacché il matrimonio non reca con sé nulla di buono (1 Corinzi 7,28 sgg.) e condurre una vita casta come la sua. Solo che giustifica la sua castità non per virtù propria ma come conseguenza di una menomazione fisica. “Vorrei che tutti voi conduciate una vita casta come me, ma non tutti hanno il dono dell’impotenza”(1 Corinzi 7,1 sgg.).

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)