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giovedì 16 aprile 2015

Il cristianesimo primitivo, non avendo una concezione unitaria di fede, fu continuamente scosso da eresie e scismi. 208

Fin dai primi tempi il cristianesimo ebbe due opposte configurazioni: i
giudeo-cristiani della Chiesa di Gerusalemme legata agli apostoli, e i pagano-cristiani o cristiani ellenistici seguaci di Paolo. Ma questi ultimi, almeno a Corinto e in altre grandi comunità, erano a loro volta divisi in fazioni, che si richiamavano rispettivamente a Pietro, a Paolo, ad Apollo e a Cristo, ciascuna delle quali era tutta intesa a «scomunicare» le altre.

Con la fine rapida del giudaismo cristiano in seguito alle Guerre Giudaiche e l'affermarsi delle comunità cristiani pagane in rapida espansione nelle varie contrade dell'Impero, le divisioni dottrinali crebbero sempre più perché ogni comunità pretendeva di imporre le sue direttive di fede a tutte le altre. Lo stesso Tertulliano prese atto del fatto che già fra i cristiani d’epoca apostolica circolava un gran numero di «eresie» (Tert., praescr. Iwer. 34); e una moderna storia dei dogmi individua otto gruppi di credenti, ciascuno con differenti concezioni di fede.

Era allora considerata anomala quella comunità che non avesse conosciuto al suo interno differenziazioni dottrinali. D’altra parte, anche il Nuovo Testamento, che inizia con le Lettere di Paolo, rispecchia un coacervo di tradizioni molteplici e spesso assolutamente contraddittorie, ragion per cui anche la Sacra Scrittura fonda - secondo la formulazione calzante del teologo Ernest Kasemann - non l’unità della Chiesa, ma, al contrario, una molteplicità di confessioni.

Persino numerose tesi teologiche del primo cristianesimo si contraddicono grossolanamente, come, ad esempio Paolo in Romani 3, 28 scrive: «Riteniamo che l’uomo riceva la giustificazione dalla fede senza le opere della Legge», mentre Giacomo il Minore, fratello di Gesù, scrive nella sua Lettera «Vedete che l’uomo viene giustificato dalle opere e non dalla fede soltanto». . Non c’è da meravigliarsi, dunque, se Origene ammette «che fin dall’inizio regnarono fra i credenti opinioni diverse sul significato dei libri sacri» (Orig., Cels. 2, 11).

Nel tardo Il secolo Celso scriveva: «Da quando i cristiani sono diventati una massa, nascono continuamente fra loro fazioni e fratture, e ognuno vuol procurarsi un seguito personale. E a causa del numero si dividono di nuovo, scagliandosi reciproche condanne» (ibi Cfr , 3, 12. Cfr. Anche 5, 64).

Questo filosofo pagano, feroce polemista anticristiano, vedeva il cristianesimo come una «tragica commedia di continue scissioni». Naturalmente egli non faceva distinzioni fra le singole correnti né, tanto meno, fra «Chiesa» ed «Eretici». Evidentemente ai suoi tempi, intorno al 180, non si era ancora costituito un cristianesimo ecclesiastico, cioè un protocattolicesimo. Secondo Clemente Alessandrino, uno dei massimi Padri della Chiesa, i pagani e gli Ebrei rifiutavano l’accettazione del cristianesimo perché, data la molteplicità delle correnti, non erano in grado di discernere la Comunità autentica (Clem. Al., strom. 7,89,2 sg.).




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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)