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martedì 14 aprile 2015

43 - “L'invenzione del cristianesimo” - Parte terza. La nuova dottrina di Paolo. 1

Finalmente libero dai controlli della Chiesa di Gerusalemme, Paolo si sentì pronto a rinunciare al messianismo e a rinnegare anche il suo legame col giudaismo per poter elaborare una nuova via per la salvezza che non sarebbe dipesa dall'osservanza della legge mosaica, ma solo dalla fede in Gesù Cristo. Ormai convinto che la parusia era procrastinata ad un tempo, forse indefinito, e che i pagani suoi seguaci, come la maggior parte di coloro che praticavano i culti misterici, aspiravano soprattutto all'immortalità dell'anima, con alacrità febbrile si diede a creare la sua nuova teologia nell'intento di elaborare una religione che accogliesse, in un geniale sincretismo, le aspirazioni del mondo ebraico e di quello gentile, e che appagasse l'immaginario collettivo di un Salvatore universale, che trasversalmente era condiviso da tutto il mondo antico.
Così egli si diede ad elaborare il trapasso dall’originario cristianesimo escatologico, sostenuto dai cristiano-giudei, ad un nuovo cristianesimo sacramentale e trascendente, che al posto dell'imminente avvento del messianico Regno di Dio sulla Terra, ansiosamente atteso dagli Apostoli, sostenesse il concetto greco di immortalità nell'aldilà e trasformasse il Messia escatologico nel Figlio di Dio, Redentore dell'umanità. Senza questa trasformazione, la mancata realizzazione del Regno di Dio in Terra in seguito al rinvio, sine die, della parusia, avrebbe segnato la fine di ogni cristianesimo.
La credenza dell'immortalità, divenuta per Paolo la colonna portante della dottrina che stava creando, era molto diffusa tra i pagani seguaci delle Religioni Misteriche, ma totalmente ignorata dagli ebrei. Per l'Antico Testamento, infatti, non c'era un aldilà dove la parte spirituale dell'uomo avrebbe continuato a vivere, in un paradiso, se buona, o nell'inferno, se malvagia. Nella Bibbia ebraica sta scritto: «La sorte degli uomini e delle bestie è la stessa, come muoiono queste muoiono quelli. C’è un soffio vitale per tutti: non esiste superiorità dell’uomo rispetto alle bestie, perché tutto è vanità» (Qoèlet 3,19). Con la morte, quindi, secondo il teologo biblico, tutto finisce, sia l'anima sia il corpo, perché tutto è venuto dalla polvere e tutto ritorna nella polvere.
Infatti i Sadducei, cioè l’alto clero del Tempio di Gerusalemme detentore dell'ortodossia ebraica, sostenevano che Mosè non aveva mai parlato né dell'immortalità dell'anima, né della "resurrezione dei morti", e non credevano nella perpetuazione dell'individuo dopo la morte, in corpo e spirito. Quindi, per loro, non esisteva un aldilà dove le anime sarebbero state punite con l'inferno o premiate col paradiso.
Invece i culti misterici, diffusi in Occidente alcuni secoli prima del cristianesimo e interiorizzati e moralizzati dai greci, ponevano l'immortalità a base della loro dottrina e la associavano alla redenzione di un Dio che si incarnava in una vergine mortale per redimere l'umanità dalle sue colpe e renderla degna di una vita eterna e beata in un mondo utopistico, collocato nell'aldilà.
Per Paolo la redenzione del cristiano era rappresentata dalla Croce, cioè dall'immolazione di Cristo, che diventava, nella sua nuova teologia, il punto di riferimento di tutta la sua fede, il mistero del progetto di Dio per la salvezza del mondo. Il concetto di redenzione, associato a quello del peccato originale che, secondo Paolo, aveva reso l'intera umanità una massa di dannati, diventava per lui il pilastro fondamentale del cristianesimo, il cuore pulsante della nuova religione.
Se l'uomo non fosse stato redento da Gesù Cristo, tutto l'edificio del cristianesimo sarebbe risultato inutile. Peccato originale e redenzione diventano quindi inscindibili per Paolo e per il cristianesimo che ne derivò, come verrà confermato da Tommaso d’Aquino con la celebre formula: «Peccato non existente, Incarnatio non fuisset»; cioè: «Se non vi fosse stato il peccato [originale], non avrebbe avuto luogo neppure l’Incarnazione» («Summa Theologiae», III, q. 1, a. 3).



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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)