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martedì 7 giugno 2016

45– Il falso Jahvè. Fine di Mosè.1

Secondo la Bibbia, Mosè morì il giorno del suo centoventesimo compleanno, ancora in pieno vigore fisico e psichico. Non gli fu concessa da Jahvè la grazia di calcare la Terra Promessa ma soltanto di poterla guardare da lontano. Non il popolo ma il suo Dio avrebbe sotterrato Mosè, non si sa dove.
E Mosè, servo del Signore, morì lassù nel paese di Moab, come il Signore aveva ordinato, e Dio lo seppellì nella valle, nel paese di Moab, dirimpetto a Bet-Fegor; ma nessuno fino al presente ha mai saputo dove sia la sua tomba”. (Deuteronomio 34,5-6).
Infatti, né il monte, né la sua tomba sono mai stati identificati.
Il racconto della morte di Mosè ha dato origine a qualche perplessità tra gli storici e gli esegeti della Bibbia. Il suo dispotismo, la sua spietatezza nell'ordinare ai Leviti di passare a fil di spada tremila ebrei, rei di aver patrocinato la costruzione del vitello d'oro, la sua ossessiva intransigenza religiosa, non lo fecero mai amare dal popolo, che del resto gli era estraneo, per cui qualcuno ha sollevato il sospetto che Mosè non sia morto in mezzo al popolo che assisteva affranto alla sua dipartita, ma per mano del popolo.
Il biblista tedesco Ernst Sellin decifrando il libro di Osea, profeta minore dell'VIII sec a.C., nel passo in cui esotericamente si allude alla tribù di Ephraim (Osea 12,14-15 e 13,1-2), giunse alla conclusione che quella tribù, che discendeva dal secondogenito di Giuseppe, si sarebbe macchiata di empietà e del sangue di colui che l'aveva fatta uscire dall'Egitto, cioè di Mosè (E. Sellin, Moses und seine Bedeutung). Lo scritto di Sellin suscitò grande scalpore al suo apparire. Nel 1938 l'ebraista Abraham Yahuda diffuse la notizia che Sellin, prima di morire nel 1932, avesse ritrattato la sua tesi. Notizia assolutamente falsa perché nelle sue ultime opere Sellin aveva pubblicato altri riscontri biblici che confermavano più che mai la sua ipotesi sull'assassinio di Mosè (E.Sellin, Hosea und das Martirium des Mose pagg. 26-33).


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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)