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martedì 14 giugno 2016

47– Il falso Jahvè. Fine di Mosè.3

Stando alla Bibbia, ai patriarchi si era palesato un altro Dio, e cioè El, "colui che è potente e non si chiama". Freud non manca di osservare anche la relazione tra la radice del nome Iovis, genitivo di Iupiter, con quello di Jahvè, nonché quella di Aton con Adon e Adonai, termini biblici per indicare Dio (Freud, op.cit., pag 371 e 353).
Esaminando le molte incongruenze riscontrabili nell'Esodo (ad esempio, il faraone non riconosce in Mosè il suo nipote adottivo), Freud formulò anche l'ipotesi che ci fossero stati due Mosè nella storia d'Israele: il primo, ucciso dal popolo che non era in grado di sopportare il suo monoteismo esigente; il secondo, vissuto alcune generazioni dopo, che trovò il proprio posto nella memoria della tradizione.
La teoria del doppio Mosè sostenuta da Freud era stata ventilata da Eduard Meyer fin dal 1906. Secondo quest'autore Mosè non era il nipote del faraone descritto dalla Bibbia, protagonista dell'esodo degli ebrei, bensì un madianita che faceva il pastore nell'oasi di Meribah-Qadesh, nell'attuale Negev, nel sud della Palestina. Lì avrebbe istruito gli ebrei ad adorare Jahvè, Dio vulcanico sinaitico, venerato dalla contigua tribù araba dei madianiti (E.Meyer, op. cit., pp 38-58). Il Mosè egizio e il Mosè madianita di Meyer erano quindi due persone diverse.
Freud traccia un parallelismo tra i due Mosè. Sul piano umano mette a confronto il Mosè egizio, intollerante, intransigente e coercitivo col Mosè madianita posteriore, disposto al compromesso. Sul piano religioso fa rilevare l'enorme divario tra il Dio unico egizio dei grandi misteri e di Akhenaton, e il Dio del Mosè madianita Jahvè, demone vulcanico e sanguinario. Infine, attribuisce al secondo Mosè tutte le imperfezioni del Dio biblico e della sua Legge, conseguenti ai compromessi concordati tra le fazioni dei fuoriusciti dall'Egitto (Freud, op. cit., pag. 361 e seguenti). Anche secondo Strabone (op. cit) nel corso della loro storia gli ebrei avrebbero sostituito l'autentica dottrina monoteistica con norme superstiziose.
Con il trascorrere dei secoli, per merito soprattutto dell'azione incisiva dei grandi profeti, e con l'affiorare del senso di colpa per la sua uccisione, il latente ricordo del primo Mosè sarebbe immancabilmente riaffiorato, sovrapponendosi a quello del Mosè madianita, col risultato di un'unica religione sincretica. Ciò spiegherebbe la mutazione che nella Bibbia subisce la figurazione di Jahvè da rozzo Dio primitivo, meschino, violento e assetato di sangue, quale ci viene raffigurato nella conquista della Terra di Canaan, al Dio-Signore che propone agli uomini una esistenza vissuta secondo verità e giustizia, come quello egizio dei grandi misteri, predicato da alcuni profeti d'Israele e delineato nella riforma di Giosia
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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)