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venerdì 31 marzo 2017

124– Il falso Jahvè. La dominazione romana e le due guerre giudaiche. 3

La distruzione di Gerusalemme e del Tempio, la cacciata di tutto il popolo d'Israele dalla Palestina furono una catastrofe di inimmaginabili dimensioni per il popolo ebraico. La celebrazione dei sacrifici, il rito più sacro imposto da Mosè, cessò per sempre e i sacerdoti sadducei persero ogni loro ruolo.
Col Tempio totalmente distrutto e la città santa e tutto il territorio proibiti agli ebrei, il giudaismo avrebbe potuto scomparire, come accadde a molte religioni del mondo antico in analoghe circostanze. Invece sopravvisse per merito delle sinagoghe che fin da un secolo prima si erano diffuse in tutta la Palestina e nei luoghi della diaspora e che, da allora, diventarono i nuovi centri cultuali in cui celebrare la liturgia della parola imperniata sulla Torah, in sostituzione di quella del sacrificio del Tempio di Gerusalemme.


giovedì 30 marzo 2017

Eusebio di Cesarea e il Testimonium Flavianum. 303

Fu Eusebio, nel IV secolo, a inserire nella sua "Historia Ecclesiastica" il Testimonium Flavianum che troviamo inserito dagli amanuensi ecclesiastici nei codici di Giuseppe Flavio da loro trascritti nel Medioevo.
Allo stesso tempo, visse Gesù, uomo saggio, se pure lo si può chiamare uomo; poiché egli compì opere sorprendenti, e fu maestro di persone che accoglievano con piacere la verità. Egli conquistò molti Giudei e molti Greci. Egli era il Cristo. Quando Pilato udì che dai principali nostri uomini era accusato, lo condannò alla croce. Coloro che fin da principio lo avevano amato non cessarono di amarlo. Nel terzo giorno, apparve loro nuovamente vivo; perché i Profeti di Dio avevano profetato queste e innumeri altre cose meravigliose su di lui. E fino ad oggi non è venuta meno la tribù di coloro che da di coloro che da lui sono detti Cristiani” (HEc. I 11,7/8). Questo è il brano, accreditato allo storico Giuseppe Flavio per testimoniare l'esistenza di Gesù Cristo, così come riportato nella "Historia Ecclesiastica" di Eusebio di Cesarea, scritta dal vescovo cristiano e ultimata dopo il Concilio di Nicea del 325 d.C..

Ma questo brano diffuso in tutto il mondo e in tutte le lingue dal tardo Medioevo in poi, risulta sconosciuto da tutti i Padri della Chiesa sino al IV secolo, l'epoca del vescovo. Ma che cosa spinse Eusebio a inserire nella sua opera questo brano? Semplicemente il fatto che avendo egli a disposizione tutte le opere dello storico ebreo, reperibili negli archivi imperiali di Nicomedia, non aveva riscontrato in esse alcun cenno né di Gesù né dei suoi portentosi miracoli, con immensa sua meraviglia, tenendo conto della meticolosa diligenza dimostrata dallo storico ebreo nel descrivere gli avvenimenti della Palestina del tempo di Gesù.

Ciò confermato anche da uno dei Dottori della Chiesa più famosi del III secolo: Orìgene Adamanzio di Alessandria, il quale, nella sua opera "Contra Celsum" (1,47), afferma di aver letto attentamente "Antichità Giudaiche" dello storico ebreo ma di non aver mai riscontrato alcun cenno in esse che riguardasse Gesù, al contrario di Giovanni Battista le cui vicende venivano ampiamente riportate nel XVIII Libro della stessa opera.

Una ulteriore conferma della affermazione di Origene venne fatta dal Patriarca di Costantinopoli, Fozio I il Grande (820-893), il quale nella sua imponente opera "Biblioteca" (Myriobiblion, "mille libri"), nell'epìtome dedicata allo storico ebreo, dichiara la sua delusione in merito all'assenza di notizie su Gesù, fornendo quindi una ulteriore dimostrazione che questa "testimonianza" fu aggiunta dagli amanuensi nei codici da loro trascritti in "Antichità Giudaiche" oltre due secoli dopo la morte di Fozio.


Origene Adamanzio


martedì 28 marzo 2017

123– Il falso Jahvè. La dominazione romana e le due guerre giudaiche. 2

I messianici, nazionalisti sempre più fanatici e anche sempre più fondamentalisti sotto l'aspetto religioso, continuarono a fomentare rivolte contro Roma finché, nel 66 d.C., la situazione precipitò: una piccola legione romana e un gruppo di ebrei filoromani furono uccisi in una sollevazione popolare guidata dagli zeloti. La guerra che ne seguì, condotta prima da Vespasiano e poi dal figlio Tito, comportò, secondo Giuseppe Flavio (Bellum judaicum), che la combatté personalmente, la morte di più di 600.000 ebrei e determinò nel 70 d.C. la prima distruzione di Gerusalemme e del suo Tempio.
Circa settant'anni dopo, nel 135 d.C., un altro zelota di nome Simeone bar Kokhba, proclamatosi Messia, scatenò una seconda guerra contro Roma, che si concluse con l'uccisione di 850.000 ebrei, la distruzione di quello che era rimasto della Palestina e con l'espulsione di tutti i sopravvissuti alla strage. Gerusalemme, dopo essere stata rasa al suolo (perfino il Golgota fu spianato) venne ricostruita in forma totalmente ellenizzata col nome di Colonia Aelia Capitolina, con templi a Giove Capitolino, a Giunone e a Minerva. Fu promulgata la condanna a morte a tutti i circoncisi che avessero osato rientrare. Cominciò così la grande diaspora ebraica che perdurerà fino al 1948, anno della nascita del nuovo Stato d'Israele.


venerdì 24 marzo 2017

122– Il falso Jahvè. La dominazione romana e le due guerre giudaiche .1

Nel 37 a.C. Erode il Grande fu nominato dai romani re dell'intera Palestina. Godeva di una certa autonomia ma era pur sempre un re delegato perché Roma col suo esercito manteneva il controllo dell'intera regione. Durante il suo regno il malcontento degli ebrei verso il re e il dominio dei romani crebbe a dismisura, provocando frequenti rivolte da parte dei messianici. Questi ultimi erano in continuo aumento, ed essendo fanaticamente convinti che l'arrivo del Messia liberatore fosse imminente, avevano dato vita alla setta degli zeloti o sicari, pronti a uccidere senza pietà i romani e gli ebrei collaborazionisti. Dopo la morte di Erode il Grande, nel 4 a.C., la situazione peggiorò perché il figlio Archelao, divenuto re della Giudea, fu deposto dai romani per inettitudine, e il regno diventò una provincia romana retta da procuratori incapaci di capire le esigenze della religione monoteistica ebraica.

giovedì 23 marzo 2017

Il dogma mariano della perpetua verginità di Maria, assente nella Historia di Eusebio. 302

Molto importanti furono le conseguenze del dogma mariano riguardante la perpetua verginità di Maria, riconosciuta come madre di Gesù Cristo unigenito, decretato nel Concilio di Costantinopoli del 381 d.C. il cui dettato entrava in contrasto con i vangeli preesitenti in uso fino al allora ma del tutto privi della "Natività" e relativa "Teotòkos" (Madre di Dio) e che documentavano l'esistenza di fratelli carnali di Gesù in base alla dottrina cristiana ariana, dichiarata eretica dopo quella data.

Quindi un secolo dopo la morte di Eusebio la Chiesa operò una successiva evoluzione teologica della “SS. Beata Maria”, dichiarata Madre di Gesù Christo unigenito nel Concilio di Costantinopoli del 381 e poi Madre di Dio - super vergine prima, durante e dopo il parto, nel Concilio di Efeso del 431 d.C. Dopo tali Concili gli evangelisti Matteo e Luca dovettero rivedere i loro vangeli inserendovi la "Natività" e il neonato dogma della "Theotókos" (Θεοτόκος) "Madre di Dio" (Lc 1,43), in modo che la "volontà dell'Altissimo" venisse riconosciuta a Efeso. Fu così che ebbe inizio il culto mariano della nuova divinità, opportunamente mutuato dalla Dea Iside egiziana, dalla Dea Cibele e dalla Dea Artemide,chiamata "Mater Magna" dai Romani, quindi adattato al nuovo Credo. In particolare il culto popolare di Artemide era rappresentato ad Efeso da un imponente Tempio dedicato alla Dea, e in tal modo fu soppresso definitivamente e dedicato a Maria.

Perché il Concilio fu convocato proprio ad Efeso? Perché secondo la tradizione allora diffusissima ed accettata unanimamente da tutti i cristiani Maria, "Mater Dei", andò ad abitare ad Efeso assieme a Giovanni, l'apostolo "prediletto del Signore". La qual cosa, però, stando alle Lettere di Paolo, risulta del tutto infondata. Nella sua lunga Lettera "Agli Efesini", Paolo di Tarso non fa alcun cenno della residenza, in quella città, del “discepolo che Gesù amava” e della “Madre di Gesù unigenito”, pur essendosi egli recato personalmente ad Efeso nel 53 d.C. assieme ai giudei convertiti, Aquila e Priscilla. In Efeso, una città di 250.000 abitanti, capitale romana della Provincia d’Asia, il super apostolo Paolo si era trattenuto due anni e, secondo gli Atti degli Apostoli che hanno un po' troppo esagerato la cosa, vi fondò la Chiesa di Cristo convertendo tutti gli abitanti, nessuno escluso (At 19,11-12).

Ma a lui, l'apostolo dei Gentili, la nuova super Dea cristiana, Maria Vergine, in quei due anni, gli è rimasta totalmente sconosciuta e altrettanto sconosciuto gli è risultato Giovanni, l'apostolo "prediletto del Signore" che ivi dimorava con Maria. Questo per dimostrare come tutto quanto ci viene tramandato dai documenti del cristianesimo primitivo sia del tutto privo di congrui riscontri e di palese discordanze.

Quattro secoli dopo il Concilio di Efeso del 431, il Patriarca di Costantinopoli, Niceforo I (758-828), possedeva ancora la copia di un vangelo di Matteo in aramaico e ne confrontò la lunghezza con il Matteo canonico, constatando che nel primo risultavano 300 righe in meno. L'osservazione fatta dal Metropolita nella sua "Sticometria", denunciava l'assenza della “nascita verginale” nel vangelo primitivo di Matteo, non ancora inventata ma successivamente “introdotta” insieme alla Eucaristia (in quanto entrambi culti pagani e quindi esclusi dal Vangelo ebraico). Ciò spiega perchèé gli Ebrei cristiani (messianisti), e le rispettive sette dei Nazirei e degli Ebioniti (i Poveri) non riconoscevano i vangeli canonici .



Artemide - Diana


martedì 21 marzo 2017

121– Il falso Jahvè. Fine d'Israele 4

La fede nella resurrezione dei morti poneva in maniera più radicale il problema della giusta retribuzione. Di fronte al sacrificio di tanti ebrei martiri uccisi dai seleucidi, Jahvè, il Dio della giustizia, sarebbe intervenuto nel giorno finale dell'apocalisse, facendoli risorgere dalla polvere come uomini integri (carne ed ossa) e non soltanto come anime, e li avrebbe restituiti a una nuova esistenza terrena, questa volta eterna. I giusti sarebbero risorti nello splendore del firmamento, i loro persecutori nella vergogna eterna (Daniele 12,2/3).
Questo Libro di Daniele è l'unico documento incontestato relativo a una resurrezione dei morti nell'intera Bibbia ebraica. Così, nel secolo e mezzo che precede la nascita di Cristo, la fede nella resurrezione prese a diffondersi nell'ebraismo. Questa teoria , accettata dai cristiani, nel mondo ebraico fu accolta con favore soltanto dai farisei e recisamente negata dai sadducei, cioè dalla casta sacerdotale.


venerdì 17 marzo 2017

120– Il falso Jahvè. Fine d'Israele. 3

Sotto i Seleucidi e gli Asmonei si formò una nuova interpretazione della storia legata a una nuova speranza escatologica della fine dei tempi. Gli apocalittici, i nuovi interpreti del tempo, presero il posto dei profeti e dei saggi (Paul D. Hanson, Old Testament Apocalyptic). Fu nel libro di Daniele che la nuova teologia apocalittica ricevette la sua piena configurazione. La sua tardiva angelologia e la sua composizione non unitaria escludono con certezza che il libro sia opera del veggente attivo alla corte di Babilonia nel VI secolo a.C. Il suo autore è probabilmente del II secolo a.C., e scrive all'epoca del brutale Antioco IV Epifane.
Il Libro di Daniele espresse una forma teologica di reazione sia alla repressione dei seleucidi sia alla seduzione della civiltà ellenistica che aveva coinvolto clero e aristocrazia, provocando forme di apostasia e di abbandono della Torah. La teologia apocalittica formulata nel Libro di Daniele, s'imperniò nell'attesa di una vicina catastrofe cosmica finale, che sarebbe stata il preludio dell'avvento perenne del regno di Dio in Terra. Essa determinò due conseguenze importanti: la fede nella resurrezione individuale dei morti, formulata per la prima volta nella storia del popolo ebraico, e la sostituzione del tradizionale Messia davidico, preannunciato da Isaia, con un altro Messia inviato da Dio direttamente dal cielo, una sorta di salvatore preesistente e trascendente, nascosto presso Dio e chiamato il Figlio dell'Uomo (H. Kung, op. cit., pag.147).

giovedì 16 marzo 2017

Ma chi era Eugenio di Cesarea? 301

Di lui conosciamo il nome Eusebio, senza alcun cenno del cognome; sappiamo che era vescovo di Cesarea di Palestina e che visse a lungo a Nicomedia, alla corte di Costantino il Grande di cui era parente. Queste notizie sono “apparse” all'improvviso in epoca rinascimentale ma data l'importanza della carica da lui rivestita, e per il suo importante ruolo avuto nel Concilio di Nicea, è impossibile che non ci abbia tramandato nelle sue opere notizie certe su dove sia nato e chi fossero i suoi genitori, anche allo scopo di distinguersi da un altro Vescovo cristiano, suo omonimo e suo contemporaneo, frequentatore abituale della corte imperiale di Costantino il Grande: Eusebio di Nicomedia, vescovi di Nicomedia e anche lui accreditato come parente dell'Imperatore.

Allora ci nasce il dubbio che i due Eusebi in realtà fossero uno solo sdoppiato dagli amanuensi che trascrissero e manipolarono la sua opera, per separare i contenuti teologici originali, dissimili nella dottrina, accreditandoli a due persone diverse. Del suo omonimo: Eusebio di Nicomedia sappiamo con certezza dallo storico Ammiano Marcellino (Res Gestae XXII 9,4) che nacque effettivamente in quella città, che era parente di Costantino il Grande e che aveva un grande ascendente alla corte imperiale. Pertanto le similitudini biografiche, religiose, politiche, storiche e geografiche tra i due Eusebi sono così impressionanti da sovrapporli.

Dopo il Concilio di Costantinopoli del 381 d.C., il cui dettato entrava in contrasto con i vangeli preesitenti in uso fino ad allora, che ignoravano la "Natività" e la relativa "Teotòkos" (Madre di Dio) e riconoscevano l'esistenza di fratelli carnali di Gesù, la Chiesa Cattolica fu costretta a trascrivere ex novo le opere del Vescovo Eusebio al fine di nascondere una importante e compromettente variante ariana della dottrina cristiana da lui sostenuta prima della convocazione dei successivi Concili destinati a stabilire l'Essenza della divinità di Cristo, per attribuirla al suo omologo di Nicomedia.

In conseguenza del Concilio di Costantinopoli del 381 d.C., gli scribi cristiani, non potendo ammettere che siano esistiti altri figli della “Madre di Gesù Cristo unigenito”, sempre immacolata anche dopo il parto, furono quindi costretti a clonare "Maria" sei volte nei vangeli e in "Atti". Cinque di queste "Marie" (tranne la "Maddalena") sono parenti di "Maria" (una addirittura sua sorella) e madri di figli i cui nomi, di volta in volta, sono sempre gli stessi e di stretta osservanza giudaica: Giacomo, Simone, Giovanni, Giuda e Giuseppe. Tutto ciò è del tutto assente nell'”Historia Ecclesiastica” del nostro così come il numero con i nominativi degli apostoli, riferiti nella sua "Historia Ecclesiastica", non corrispondono a quelli degli attuali vangeli.


Ciò porta a concludere che Eusebio possedesse un altro codice biblico conosciuto col nome di "Atti di Gesù", a tutti però sconosciuto, contenente documenti neotestamentari diversi da quelli attuali. Stando al vangelo letto da Eusebio lo storico Vescovo ci informa nella sua "Historia Ecclesiastica" (III 20) che Cristo venne crocefisso sotto Valerio Grato, il Prefetto antecedente a Ponzio Pilato, e che Giuda, era detto fratello del Signore secondo la carne. Dichiarazione confermata da san Girolamo nel 392 d.C. in "De viris illustribus" cap. IV dedicato all'apostolo "Giuda, fratello di Giacomo..." aggiunta a "Giacomo, soprannominato il Giusto, detto fratello del Signore secondo la carne".

Ammiano Marcellino


martedì 14 marzo 2017

119– Il falso Jahvè. Fine d'Israele. 2

L'ellenizzazione dell'ebraismo, se esercitò un'influenza tutto sommato relativa in Palestina, trovò la sua massima espressione ad Alessandria d'Egitto. Siccome nella grande comunità ebraica della città era venuta meno la conoscenza dell'ebraico e dell'aramaico, si procedette alla traduzione in greco dell'intera Bibbia. Questo fatto ebbe un'enorme ripercussione nel mondo ebraico della diaspora. Fu chiamata la Bibbia dei Settanta dal numero dei traduttori.
Al tempo dei Seleucidi, durante il regno di Antioco IV Epifane nel 167 a.C., ci fu in Palestina un'ellenizzazione coatta che si trasformò poi in una vera persecuzione religiosa. Venne vietato il culto conforme alla Legge, la circoncisione, il riposo del sabato, l'osservanza della Torah; furono imposti culti pagani al popolo e si giunse perfino ad edificare un'ara a Zeus sopra gli altari degli olocausti nel Tempio di Gerusalemme.
Questo periodo è conosciuto dagli ebrei come "l'abominio della desolazione". Gli Asmonei, chiamati anche i Maccabei, figli del sacerdote Mattatia, dopo un'aspra e cruenta lotta contro i Seleucidi riuscirono a rendere la Palestina indipendente e a creare la teocrazia piena in quanto assommarono il potere politico e religioso nella stessa persona. Ma il loro insopportabile dispotismo determinò l'intervento di Roma, che restaurò il potere sacerdotale limitatamente all'ambito religioso, e ridusse la Giudea ad uno stato vassallo controllato dal senato.


venerdì 10 marzo 2017

118– Il falso Jahvè. Fine d'Israele. 1

Il periodo ellenistico
Nel 333 a.C. Alessandro il Macedone sconfisse Dario III e sulle rovine del regno persiano costruì un gigantesco impero, che si estendeva dal Mediterraneo alle acque del fiume Indo. Inseguiva il sogno di unificare Occidente e Oriente, non solo sotto un'unica dominazione politica ma anche in un'utopistica quanto meravigliosa sintesi culturale. La morte precoce del Macedone infranse i suoi sogni e anche il suo impero. La Palestina diventò una zona contesa tra i suoi eredi e in un primo tempo passò sotto il dominio dei Tolomei, faraoni d'Egitto, e in un secondo tempo sotto i Seleucidi.
La civiltà universale ellenistica che si sviluppò in seguito alle conquiste di Alessandro esercitò una forte influenza anche in Palestina, soprattutto a Gerusalemme dove vivevano le ricche e aristocratiche famiglie dei grandi sacerdoti. La dottrina sapienziale che già durante l'esilio, in seguito ai contatti con la cultura babilonese e persiana, aveva cominciato a svilupparsi, diventò ancor più determinante con l'espandersi dell'ellenismo greco-cosmopolita e il conseguente universalismo sincretico-religioso che esprimeva, e finì con il rappresentare per la religione ebraica un'enorme sfida.
La crisi della sapienza che ne conseguì trovò la sua massima espressione nei libri di Giobbe e Qohelet. In essi veniva infranta una delle dottrine fondamentali della fede ebraica, la dottrina della retribuzione, vale a dire della giustizia retributiva e punitiva di Dio, perno della religione della Legge.
In Qohelet (libro filosofico-scettico, accolto nel canone in quanto attribuito a Salomone),  e nel Libro di Giobbe la rottura con la fede della retribuzione diventò il problema fondamentale. In entrambi la teoria che ci fosse una connessione tra quello che l'uomo fa e quello che gli succede come compensazione venne energicamente contestata. Di fronte a questa crisi della sapienza reagirono gli altri libri sapienziali: il Libro dei Proverbi e il Libro del Siracide cercando di restaurare la fiducia nell'ordine divino, nella fede tradizionale di Jahvè, per cui, nonostante l'universalistica cultura profana dell'ellenismo, l'ebraismo riuscì a conservare la sua tradizionale fede nel Tempio e nella Torah.

giovedì 9 marzo 2017

Perché la "Sequela Christi" è in gran parte inventata. 300

Per creare la prova che nella “Terra del Signore”, fin dalla Sua venuta, si costituì una numerosa comunità cristiana, ivi ininterrottamente governata da vari Episcopi fra i quali il più importante era quello di Gerusalemme, Eusebio immaginò un “Vescovo successore” a Giacomo apostolo, inventato a sua volta, pur sapendo che quel “Soglio Episcopale”, nel I e sino ad oltre la metà del II secolo, non esisteva, in quanto non suffragato da alcun documento storico.

Scrive Eusebio:“Dopo il martirio di Giacomo (62 d.C.) e la caduta di Gerusalemme (70 d.C.) si riunirono i parenti del Signore, ivi convenuti, per decidere il successore di Giacomo. All'unanimità fu designato, Vescovo di Gerusalemme, Simone, cugino del Salvatore” (HEc. III, 11).
Questo “Simone” in ambienti cattolici viene considerato, a volte, per “cugino” di Gesù, figlio di un non meglio specificato "Cleofa" (fratello di san Giuseppe) marito di una certa “Maria”, sorella di Maria Vergine; altrimenti, come “fratellastro” di Gesù, figlio di san Giuseppe, avuto da un matrimonio contratto in precedenza dal vecchio falegname, non si sa con chi. In entrambi i casi, un Simone più anziano dello stesso Cristo.

Ma come poteva sapere Eusebio, nel IV secolo, che quasi tre secoli prima Simone Zelota era diventato Vescovo di Gerusalemme? Nessun documento storico ha mai evidenziato un fatto del genere. Semplice: si inventò uno suo personale storico da lui chiamato “Egesippo”, ebreo convertito al cristianesimo, profondo conoscitore della lingua semitica che gli consentì di leggere vangeli ebraici e siriaci originali da lui posseduti. Una specie di segugio nel ricercare màrtiri e cariche ecclesiastiche, Vescovi, Padri e Papi compresi.

Il Vescovo cristiano notificò anche che Egesippo, oltre le lingue semitiche, era un profondo conoscitore di greco e latino nonché delle varie dottrine eretiche gnostiche, allora in voga. Il tutto riferito in cinque libri "Hypomnemata" (Memorie) che nessuno, tranne Eusebio, aveva mai visto né letto. La vita di questo storico fantasma, collocato nel II secolo fra il 110 e il 180 d.C., appena dopo la morte del vero cronista ebreo Giuseppe Flavio, avvenuta nel 105 d.C. a noi risulta totalmente priva di qualsivoglia riscontro storico.

Infatti questo Egesippo, tranne Eusebio il suo creatore, nessuno dei numerosi Padri Apologisti, Vescovi, Papi e martiri, da lui chiamati ad impersonare la lunga ed ininterrotta "Sequela Christi" (dei quali, però, c'è la tombale assenza di riscontri storici extracristiani e tanto meno reperti archeologici) lo ha mai nominato.

Per concludere la successione apostolica di Gerusalemme, dopo Giacomo, fratello del Signore e Simone, probabile suo cugino o fratellastro, l'impenitente falsario Eusebio (HEc. IV 5,3-34) fa succedere Giuda, figlio di Giacomo il Giusto, e poi una decina di immaginari altri Vescovi con l'accortezza di concluderla prima dell'avvento di Simone bar Kochba, l'ultimo Messia zelota del 125, che senz'altro li avrebbe eliminati.


Giuseppe Flavio


martedì 7 marzo 2017

117– Il falso Jahvè. Il post esilio, il giudaismo del secondo Tempio e la restaurazione di Ezra 2

Nel 450 a.C. Ezra, uno scriba discendente dal capo sacerdote Aronne, col consenso di Artaserse re di Persia, venne a Gerusalemme con l'ultima ondata di esuli. Rimase scandalizzato nel vedere che il popolo d'Israele, sacerdoti e leviti inclusi, si univa in matrimoni misti, si mescolava liberamente con genti straniere e non osservava scrupolosamente le regole della Legge.
Immediatamente radunò il popolo d'Israele nella piazza del Tempio al quale lesse il Pentateuco in ebraico, lingua ormai a tutti incomprensibile e conosciuta solo dai sacerdoti, per cui mentre lo si leggeva doveva essere tradotto in aramaico. Il popolo di Gerusalemme, dopo avere ascoltato in silenzio la lettura, dovette solennemente rinnovare l’Alleanza con Jahvè e impegnarsi all'osservanza rigorosa della Legge, che assumeva contorni sempre più coercitivi. Vennero ripristinate le feste prescritte dalla Legge, che erano cadute in disuso: le feste di Pesach (Pasqua), Shavuot (Settimane) e Sukkot (Tabernacoli), e imposto il ripudio immediato delle mogli non giudee, cioè delle donne straniere e di Samaria, che non erano di puro sangue ebraico.
Ai samaritani fu vietato l’ingresso nel Tempio di Gerusalemme. Il Pentateuco si trasformò in norma giuridica vincolante e vennero promulgate sanzioni in caso di inosservanza. Il codice legislativo del Levitico, considerato "legge di santità", contenente le prescrizioni religiose, etiche e cultuali, relative alla macellazione degli animali durante i sacrifici, ai rapporti sessuali e alle loro perversioni, ai tributi, alle feste religiose, alle regole alimentari e così via, fu imposto con rigore quasi coercitivo. Si trattava di un insieme di norme che non tenevano in alcun conto il rinnovamento dello spirito, le pratiche di carità, i sentimenti del cuore. Si impose quindi una adesione formale e pedissequa alla Legge, cioè di un corretto modo di agire esteriore. Le fonti bibliche considerarono positivamente queste riforme puramente formali, ed Ezra – ritenuto il fondatore del giudaismo del secondo Tempio – venne paragonato a Mosè. Nel libro che porta il suo nome egli afferma di aver ulteriormente manipolato i testi biblici rivedendo e correggendo di sua mano i libri della Legge che erano andati in parte perduti e in parte alterati, e raggruppandoli in 22 libri, secondo il numero delle lettere dell'alfabeto ebraico. Confessa inoltre di aver composto molti altri libri riservati esclusivamente ai grandi sacerdoti. Naturalmente egli giustifica queste sue manipolazioni e invenzioni adducendo di aver agito sotto l'ispirazione divina. Le norme che nel quinto secolo a.C. Ezra e Nehemia, altro rimpatriato da Babilonia, diedero a Gerusalemme, divennero la base dell'ebraismo del Secondo Tempio e diedero alla Bibbia ebraica la sua forma attuale.
Secondo però lo studioso tedesco Georg Fohrer, con Ezra e Nehemia venne introdotta in Israele una nuova religione (Storia della religione israelitica, pag.419).


venerdì 3 marzo 2017

La "Sequela Christi". 299

Agli inizi del IV secolo, il Vescovo Eusebio di Cesarea, residente a Nicomedia nella reggia di Costantino il Grande, potendo consultare gli Archivi Imperiali e visionare gli scritti di Giuseppe Flavio (Antichità Giudaiche e Guerra Giudaica) che raccontavano dettagliatamente gli eventi della Palestina fino alla distruzione di Gerusalemme nel 70, creò, con l'aiuto di altre pie mani e con totale disprezzo della veridicità storica, la sua "Historia Ecclesiastica", una estesa opera consistente nella documentazione omnicomprensiva e fondamentale della tradizione cristiana.

Partendo dai primi vescovi di Gerusalemme e ricostruendo, inventandoli, tutti gli altri vescovi, Padri e dottori della Chiesa e l'innumerevole schiera di martiri, delineò la "Sequela Christi", cioè la continuità interrotta di una gerarchia ecclesiastica da Gesù fino al suo tempo, con i richiami storici di tutti gli eroici protagonisti; stabilì l' evoluzione unitaria della nuova dottrina religiosa, allora infestata da molteplici tendenze ereticali e, infine, elaborò i criteri per la cernita rigorosa dei documenti fondativi del cristianesimo, dovendo eliminare molteplici testi teologici contrastanti tra di loro.

Quella sua premura di "individuare le divine Scritture autentiche da quelle eretiche, assurde ed empie, composte da ciarlatani, strumento dell'attività diabolica, che, come Menandro successore di Simon Mago, ingannavano molti con l'arte del demonio promettendo un'immortalità immediata già in questa stessa vita senza più morire ... ciarlatani che si mascheravano dietro il nome di Cristiani" (HEc. III 26, 1/) non poté prevedere, però, che la dottrina cattolica era allora ancora in fase evolutiva e che il successivo "Concilio di Costantinopoli" del 381 d.C., pur confermando il precedente Credo niceno del 325, ne avrebbe forzato l'assioma fino a comprendere la Santa Trinità e Maria Vergine madre di Gesù Cristo unigenito, nuove verità di fede del tutto ignorate da Eusebio nella sua Historia.

Per cui la "testimonianza" eusebiana è stata sottoposta a molteplici censure da parte degli antichi critici ecclesiastici fra il X ed il XIII secolo d.C., con la stesura di codici molto contrastanti tra di loro fino all'editio princeps che risale al 1544 e che l'ha definitivamente fissata.



116– Il falso Jahvè. Il post esilio, il giudaismo del secondo Tempio e la restaurazione di Ezra 1

Nel 538 a.C. Ciro, coerentemente con la sua politica universalistica e tollerante, emanò un editto con il quale acconsentiva la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme a spese dello Stato, alla restituzione degli arredi sacri del Tempio, confiscati da Nabucodonosor, e al rimpatrio di parte degli esuli ebrei. In Israele questo re fu celebrato come un Messia.
La costruzione del secondo Tempio ebbe luogo nel 520 sotto il governatore giudeo-persiano Zorobabele. Gli israeliti del Regno del Nord si offrirono di partecipare alla ricostruzione, ma il loro aiuto venne rifiutato senza mezzi termini in quanto la loro origine ebraica era considerata spuria. Zorobabele dichiarò categorico: "non conviene costruire insieme, voi e noi, un tempio al nostro Dio" (Ezra 4,3). Con ciò facendo capire che la fazione dei rimpatriati dall'esilio s'arrogava il diritto di stabilire la natura dell'ortodossia ebraica per diritto divino.
Il nuovo Tempio era di proporzioni più modeste rispetto a quello di Salomone. Al posto dell'arca dell'Alleanza, andata perduta, fu collocato il candelabro a sette bracci (menorà) che sarebbe diventato da quel momento in poi il nuovo simbolo del risorto Stato d'Israele.

Rifiorirono le antiche tradizioni, e in mancanza di un re si impose l'orientamento teocratico-sacerdotale. Il sommo sacerdote, inteso anche come rappresentante di Jahvè, acquistò un nuovo peso e venne posto al vertice del potere religioso e amministrativo. Ma qualche decennio dopo un profeta di nome Malachia, l'ultimo dei veri profeti, denunciò il generale degrado religioso causato dall'esteriorizzazione del culto, dall'avidità dei sacerdoti, dallo sfruttamento del popolo e dai matrimoni misti (Malachia 3,1-2).

giovedì 2 marzo 2017

Eusebio di Cesarea


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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)