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martedì 13 gennaio 2015

17- “L'invenzione del cristianesimo” La dottrina di Gesù. 2

Sull'osservanza della Legge, terreno di scontro durissimo tra Paolo e i cristiano-giudei di Giacomo, come vedremo in seguito, Gesù non diede adito a dubbi. "Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento" (Matteo 5,17 ). "È più facile che abbia fine il cielo e la terra, anziché cada un solo trattino della Legge" (Luca 16,17).
Matteo per due volte (9,20; 14,36) insiste sul fatto che il il mantello di preghiera di Gesù aveva le frange, cioè i fiocchi rituali prescritti da Mosè in Numeri (15,37-40). Ciò a significare la scrupolosa osservanza della Legge da parte di Gesù anche nell'abbigliamento.
Quello che bisogna sfatare nel modo più assoluto è ritenere che tutti gli inviti alla non-violenza, al perdono dei nemici, all'amore universale, al porgere l'altra guancia, ad amare il prossimo e così via, che costituiscono gli insegnamenti più elevati e sublimi dei Vangeli, valessero allora come li intendiamo adesso.
Per Gesù il prossimo era riferito soltanto ai soli ebrei; tutti gli altri: i romani e i pagani in genere, erano esclusi. A quel tempo, nel clima rovente di odio e di vendetta contro i romani, diffuso ad ogni livello della popolazione, non solo zeloti e sicari (termini intercambiabili) ma qualsiasi altro ebreo, dal più umile al più elevato, mai avrebbero tollerato il più piccolo accenno di amore e perdono per i nemici d'Israele, cioè i romani e i pagani in genere, e chi avesse osato proporre una cosa simile sarebbe stato immediatamente lapidato a furor di popolo, prima ancora dell'arrivo dei sicari. Il vero Gesù, quello messianico, non ha niente del Gesù teologico inventato da Paolo, pacifista e predicatore della non-violenza. Egli, infatti, lancia sette maledizioni contro l'ipocrisia degli scribi e dei farisei (Luca 11,42-52); destina alla Geenna (sinonimo di inferno) quelli che non credono in lui (Luca 10,15 e 12, 10); afferma che chi non è con lui è contro di lui (Luca 11,23); preconizza la rovina di Gerusalemme e la distruzione del Tempio (Marco 13,1-2; Matteo 24,2); insegna che è venuto non per la pace, ma per la spada (Matteo 10,34), minaccia di morte violenta quanti dei suoi nemici non volevano che diventasse loro re (Luca 19,27). Insomma tutto l'opposto del Gesù evangelico che la Chiesa ci presenta.
Un'altra cosa da sfatare è che Gesù approvasse, sia pure indirettamente, il tributo a Cesare da parte degli ebrei, come ci viene raccontato dai Sinottici ("Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio") (Marco 12,13-17; Matteo 22,15-22; Luca 20,22-26). Il tributo imposto ai giudei dai romani era inaccettabile e oltraggioso per qualsiasi ebreo rispettoso della Legge perché concedeva “ciò che è di Dio”, cioè le risorse della terra santa di Jahvè, ad un sovrano straniero e implicava il riconoscimento dell'autorità imperiale.
Quindi l'accettazione del tributo a Cesare che troviamo nei Sinottici viene smentito da due fatti: 1) che il Vangelo di Giovanni ignora totalmente l'episodio riferito dagli altri evangelisti; 2) che gli stessi Sinottici, contraddicendosi, accusano Gesù davanti a Pilato di obiezione fiscale: "Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo re" (Luca 23,2).
L'obiezione fiscale fu una tematica costante di tutti i Messia che precedettero e seguirono Gesù, a cominciare da Giuda il Galileo, qualificato da Giuseppe Flavio “terribilissimo sofista” (cioè dotto). oltre che terribilissimo guerriero.
La sentenza di Gesù, quindi, che imponeva il tributo da versare a Cesare, cioè a Roma, assolutamente obbrobriosa e blasfema per qualsiasi giudeo e meritevole di immediata lapidazione per chi l'avesse pronunciata, fu inserita nei Vangeli allo scopo di presentare Gesù connivente coi romani.
Doveva far capire ai cristiani di Roma che Gesù non era stato giustiziato per sedizione contro l'Impero ma come vittima dell’odium theologicum dei capi ebrei e del popolino di Gerusalemme. Tenendo quindi conto che Gesù era circondato da seguaci in gran parte affiliati alla setta degli zeloti, è assolutamente improponibile ammettere che gli inviti al perdono e a pagare i tributi agli oppressori romani siano usciti dalla sua bocca.
Essi sono stati aggiunti dagli evangelisti nel corso della costruzione teologica della figura di Gesù, durata come minimo tre secoli, durante la loro opera di spoliticizzazione, indispensabile alla Chiesa nascente per superare i conflitti con le istituzioni imperiali, prima di Costantino, e creare la sua simbiosi col potere imperiale, dopo Costantino.
A riprova di ciò sono rimasti nei Vangeli certi proclami che alludono chiaramente alle istanze del messianismo zelota. Per citarne alcuni: "Ed egli (Gesù) aggiunse: "Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così una bisaccia; chi non ha spada, venda il mantello e ne comperi una" (Luca 22,36). "Non crediate che io sia venuto a portare la pace sulla terra; non sono venuto a portare la pace ma la spada" (Matteo 10,34).
Tornando alla dottrina di Gesù, è stato dimostrato, con una relativa facilità, che gli insegnamenti morali in essa contenuti non sono affatto originali perché derivano dai Salmi, dai Profeti e dagli Esseni, ai quali forse apparteneva, ed erano patrimonio comune di molti filosofi pagani, soprattutto degli Stoici e dei Cinici. Infatti a Gadara, dove predicò più volte Gesù, esisteva una scuola filosofica cinica fin dal III secolo a.C.
Questa scuola, che certamente Gesù ebbe modo di conoscere e dalla quale forse attinse alcuni ammaestramenti, predicava il monoteismo (cioè la condanna del culto degli dèi), il disprezzo per gli onori, il lusso e la ricchezza; l'amore per i deboli, gli umili e gli oppressi. I suoi predicatori vaganti, percorrevano le contrade e i villaggi, rivolgendosi preferibilmente ai poveri, agli schiavi, agli emarginati anche di pessimi costumi. Insomma, come Gesù, che accettava tra i suoi seguaci pubblicani e prostitute.
Seguendo la dottrina essena, che esaltava la povertà come libera scelta di vita, Gesù con molta durezza denunciò nei suoi discorsi il perenne contrasto tra Dio e Mammona (il dio denaro).
L'ostilità verso i ricchi e la classe abbiente, è presente in molto passi evangelici: “Guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione. Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame” (Luca 24, 25). "... è più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio" (Matteo 19,22). In sintesi, i ricchi non vengono condannati per i loro peccati ma semplicemente per la loro ricchezza.
Al riguardo sono importanti le istruzioni che Gesù dà al giovane che gli chiede che cosa deve fare per essere salvato: "… vendi tutto quello che hai e distribuiscilo ai poveri" (Luca 18, 22), (Matteo 19, 21) che ricalcano il comportamento degli esseni che prima di entrare nella setta dovevano vendere i loro beni e donare il ricavato ai poveri.
C'è un'ultima considerazione da fare, a proposito della dottrina di Gesù, che ritengo della massima importanza, ed è quella che bisogna sfatare nel modo più assoluto che Gesù, durante la sua attività pubblica, si sia proclamato Figlio di Dio, non tanto in forma simbolica come tutti noi che ci riteniamo figli spirituali di Dio, quanto come partecipe diretto di una divinità consustanziale al Padre celeste, come vuol farci credere la teologia paolina. Una tale pretesa sarebbe suonata empia e blasfema all'intera comunità ebraica, perché violava il principio più sacro dell'ebraismo: il monoteismo, e avrebbe scatenato, per chi l'avesse proclamata, la lapidazione immediata a furor di popolo, ancor prima della condanna del sinedrio. E i romani di questa lapidazione se ne sarebbero infischiati altamente, in quanto rientrava nei diritti religiosi riconosciuti ad Israele. Quindi la condanna a morte di Gesù per blasfemia, decretata da Pilato, suona doppiamente falsa: in primo luogo perché questo reato veniva punito direttamente con la lapidazione (vedi quella di Stefano, il cosiddetto protomartire cristiano); in secondo luogo, perché i romani, oppressivi e spietati in campo politico, evitavano qualsiasi ingerenza religiosa nei confronti dei popoli sottomessi. Il Gesù sinottico era, per il suo tempo, un rivoluzionario che contestava la gerarchia templare, i teologi formalisti, il ritualismo vuoto e ipocrita, la pedante osservanza della Legge, i vacui esercizi dei bigotti: tutti abluzioni e digiuno. Secondo la nostra ottica era antilegalistico, anticultuale e anticlericale. Ma, al suo tempo, tutto ciò era estraneo alla blasfemia. Tutti i profeti, prima di lui, si erano comportati allo stesso modo.


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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)