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venerdì 20 febbraio 2015

2 8- “L'invenzione del cristianesimo” - Parte prima. La passione. 4

Giunta l'alba, che probabilmente dava inizio alla vigilia della Pasqua (ma non ne siamo certi perché i Vangeli sono discordi anche su questo), Gesù incatenato fu portato alla sede del presidio romano e consegnato al prefetto della Giudea, Ponzio Pilato.
Come mai Gesù, accusato di bestemmia, cioè di un reato religioso, viene consegnato ai romani per essere giudicato? Sotto il profilo giuridico la cosa non ha senso, perché Roma, ammettendo la più ampia libertà religiosa, non contemplava reati di quel genere. Al limite, era una faccenda puramente interna che gli ebrei dovevano sbrigare tra di loro (in base al principio giuridico romano "sui legibus uti"). E allora?
Gli arrampicatori sugli specchi adducono il pretesto che, non avendo in quel tempo gli ebrei la facoltà di emettere sentenze di morte, dovevano per forza ricorrere ai romani. Una bufala smentita da Giuseppe Flavio (Antichità Giudaiche, Libro 20 - Cap. 9) che spiega che era solo vietato agli ebrei eseguire condanne di morte mediante la spada o la croce ("jus gladii") riguardanti i delitti politici, mentre avevano la facoltà di procedere alla lapidazione, allo strangolamento ed alla decapitazione con la scure per gli altri reati. (v. Giovanni Battista e Stefano protomartire).
Nei Vangeli e negli Atti degli Apostoli si narra di lapidazioni eseguite per motivi religiosi, senza che le autorità romane siano mai intervenute, e molte volte Gesù stesso, stando ai Vangeli, rischiò la lapidazione o di essere gettato dal monte, se non avesse provveduto a mettersi in salvo (Luca 4,28-29 - Giovanni 8,59).
Anche Giacomo, fratello di Gesù, nonostante il grande favore popolare di cui godeva, non fu fatto lapidare dal sommo sacerdote Anania? Se fosse stato vero che Gesù era colpevole soltanto di un reato religioso, sarebbe stato lapidato sic et sempliciter come Stefano e come Giacomo, senza scomodare un esercito di soldati, senza subire la crocifissione, la più ignominiosa delle condanne, riservata solo ai ribelli politici, e senza l'iscrizione "Gesù re dei Giudei". Tutto ciò sembra lapalissiano. E i romani della sua lapidazione se ne sarebbero altamente infischiati.
Sul tradimento di Giuda Iscariota, ovvero di Giuda "sicario", più di uno storico ha sollevato dei dubbi scagionando l'apostolo da ogni addebito, adducendo il fatto che le motivazioni addotte per dimostrare il suo gesto: i trenta denari o l'irritazione per lo spreco dell'unzione nella casa di Betania, sono semplicemente ridicole. Comunque sulla fine di Giuda, il Vangelo di Matteo (l'unico dei quattro che accenna al fatto) e gli Atti discordano vistosamente.
Matteo ci racconta che Giuda, pentitosi del suo gesto, avrebbe gettato i trenta denari nel Tempio e si sarebbe impiccato. I sacerdoti, recuperata la somma, avrebbero comperato con essa il Campo del Vasaio, per la sepoltura degli stranieri, in adempimento delle profezie di Geremia (Geremia 32, 6) e Zaccaria (Zaccaria 11, 12-13). "E presero trenta denari d'argento, il prezzo del venduto, che i figli di Israele avevano mercanteggiato, e li diedero per il campo del Vasaio, come aveva ordinato il Signore" (Matteo 27,9-10). Abbiamo visto in precedenza che pur di far collimare le vicende del Messia con le profezie, gli evangelisti non esitarono ad inventare molti episodi. In questo caso la coincidenza tra la somma percepita da Giuda (trenta denari) e quella richiamata dalla profezia ci appare chiaramente sospetta.
Gli Atti danno una versione molto diversa della fine di Giuda ma bisogna saperla leggere tra le righe per capirla bene. Secondo questa versione Giuda non si pentì affatto del suo tradimento e coi trenta danari comperò un campo, ma poi ebbe una specie d'infortunio: cadde per terra, gli si squarciò il ventre e gli fuoriuscirono tutte le viscere. Strano, perché quello di squarciare con la spada il ventre dei traditori e di spargerne le viscere al suolo era il metodo seguito abitualmente dagli zeloti, e tra gli apostoli di zeloti ce n'erano più di uno, a cominciare da Pietro che non aveva esitato a tagliare l'orecchio a Malco e sicuramente non esitò a fare il karakiri a Giuda, che col suo tradimento aveva fatto fallire l'impresa (P.Zullino, Giuda, Rizzoli, Milano, 1998).
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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)