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martedì 3 febbraio 2015

23- “L'invenzione del cristianesimo” - Parte prima. I due errori fatali di Gesù. 2


L'assalto al Tempio avvenne obbedendo a due istanze molto sentite dagli esseni: denunciare il degrado in cui era caduta la casa di Dio, ridotta a spelonca di mercanti e di cambiavalute, a mattatoio crudele di vittime innocenti (ricordiamo che durante la celebrazione delle feste pasquali venivano immolati più di ventimila animali in un lezzo nauseabondo di sangue e di incenso e che gli esseni disapprovavano i sacrifici cruenti) e non più a luogo di devozione e di preghiera; combattere il trionfo di Mammona (il dio denaro) che generava cupidigia, avidità, brama di ricchezza, ed era la negazione della vita semplice, umile e povera che predicava l'ascetismo esseno. Il gesto risuonò come un attacco non solo contro Roma, che doveva garantire l'ordine pubblico, quanto contro la gerarchia templare e tutte le istituzioni religiose d'Israele e suonò sacrilego perfino agli occhi di molti messianisti. Infatti, quel mercato non rappresentava per gli ebrei dell'epoca alcunché di empio in quanto era considerato il centro della vita economica della città e indispensabile al funzionamento del Tempio. Era protetto da guardie, sia giudee sia romane, armate pesantemente e la stessa guarnigione romana era situata nella Torre Antonia, che lambiva il quadrato di mura che circondava il sacro edificio.
Le autorità del Tempio, timorose di ogni sommossa, e tutte le classi alte della città e soprattutto gli erodiani, considerarono questi due episodi una deliberata sfida alle autorità costituite e una seria minaccia di insubordinazione. La festa imminente della pasqua si annunciava particolarmente pericolosa e drammatica. Bisognava correre ai ripari al più presto possibile e sedare la rivolta sul nascere.
I sinedriti si riunirono preoccupati e si dissero: "Se (Gesù) lo lasciamo fare, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione. Ma uno di loro, di nome Caifa, che era sommo sacerdote in quell'anno, disse loro: «Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera»" (Giovanni 11,47-50).
Il destino di Gesù era segnato. La sua condanna era una condanna politica, non religiosa. La presunta blasfemia non c'entrava per niente, per essa c'era solo la lapidazione che il sinedrio era libero di applicare in qualsiasi momento, a suo insindacabile giudizio e senza il permesso dei romani.
A giustificazione di Caifa va detto che il sommo sacerdote e i capi del sinedrio dovevano rispondere di qualsiasi violazione dell'ordine pubblico, e se non riuscivano a reprimere i disordini intervenivano prontamente i romani con rappresaglie durissime. Di queste sotto Ponzio Pilato ce ne furono di orribilmente crudeli, come vedremo in seguito.
In concomitanza a questi due importanti avvenimenti, ne avvenne un altro, non pubblico ma privato, ciononostante pregno di pathos e di intensi significati simbolici, conosciuto come l'unzione di Betània. Anch'esso getta piena luce sulla messianicità di Gesù.
È singolare il modo con cui viene raccontato dagli evangelisti. Giovanni nomina esplicitamente il luogo e dà un nome ai personaggi protagonisti dell'avvenimento; i Sinottici, invece, chiaramente manipolati dal meccanismo di censura, più volte denunciato e usato per mascherare o alterare personaggi ed eventi, lasciano tutto nel vago.
L'episodio, come ce lo racconta Giovanni nel suo Vangelo, possiamo riassumerlo così. A Betania, nella casa di Lazzaro, durante un banchetto serale servito da Marta, sorella di costui, per celebrare l'imminente insurrezione programmata da Gesù e i suoi seguaci, Maria di Magdala, altra sorella di Lazzaro (e presunta consorte di Gesù), si avvicina al Maestro reggendo in mano un prezioso vasetto di alabastro contenente una libbra di nardo, un costosissimo profumo del prezzo, a quel tempo astronomico, di almeno 300 denari.
Di fronte a tutti i presenti infrange il vaso e versa l'unguento profumato sui piedi di Gesù (e secondo gli altri evangelisti anche sulla testa), e lo asciuga coi suoi capelli. I commensali, verosimilmente sbalorditi, esprimono disappunto per l'enorme spreco e Giuda, non nascondendo la sua irritazione, abbandona la cena e si reca dai sacerdoti per concordare il suo tradimento nei confronti del Maestro. Questo è quanto ci dice Giovanni (Giovanni 12,1-11).
Prima di parlare dello stravolgimento dell'episodio fatto dagli altri tre evangelisti, cerchiamo di decodificarlo per capirne i reconditi significati. Anzitutto, perché quel gesto così eclatante nei confronti di Gesù da parte della Maddalena? Per amorosa devozione, per passionale trasporto? Non solo per questo. Quel gesto in realtà, come osservano molti studiosi, era una cerimonia d'unzione che ufficializzava di fronte a tutti, nell'imminenza della rivolta, la dignità messianica di Gesù, come figlio di David e re dei Giudei. E il comportamento di Giuda? Irritazione e disappunto per l'enorme spreco? Disgusto per il gesto plateale della Maddalena? Affatto. Semplicemente: avvertire il Tempio e gli antimessianici che ormai la rivolta era imminente, convinto com'era che fosse destinata ad un tragico fallimento. I tre evangelisti sinottici, nel tentativo di cancellare i riferimenti messianici di Gesù, il suo attaccamento a Lazzaro e alle sue sorelle, e forse anche il fatto che Maria di Magdala era sua consorte, collocano il banchetto in casa di un certo Simone il lebbroso o Simone fariseo, e attribuiscono il gesto dell'unzione ad una donna senza nome, considerata da Luca una peccatrice del luogo. Lazzaro e le sue sorelle svaniscono nel nulla. (Marco 14,3-9; Matteo 26,6-13; Luca 7,37-39).
Il fatto che Lazzaro, così importante per il Vangelo giovanneo, venga dagli altri tre Vangeli deliberatamente fatto sparire al punto da ometterne anche la sua resurrezione, considerata uno dei più eclatanti miracoli di Cristo, dimostra, al di sopra di ogni dubbio, che i Sinottici hanno sottostato all'esigenza di censurare chi, come Lazzaro, era un personaggio forse legato ai più intransigenti gruppi del messianismo ebraico.
Il fatto poi che Maria, sorella di Lazzaro, fosse nella realtà la consorte di Gesù (a questo proposito ricordo che la legge Mishnaica degli ebrei del tempo non lasciava spazio a dubbi: "un uomo celibe non può essere Maestro"), ha contribuito ulteriormente, in base alle esigenze teologiche paoline della divinità di Cristo, a manipolare così grossolanamente gli avvenimenti e a far piazza pulita della famiglia di Lazzaro.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)