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martedì 24 febbraio 2015

29 - “L'invenzione del cristianesimo” - Parte prima. La passione 5

Torniamo a Pilato che quando vide Gesù condotto in catene davanti a sé, chiese stupito ai sinedriti, come se in quel momento cadesse dalle nuvole, di quale accusa era imputato quell'uomo. Incredibile! Aveva mandato in piena notte seicento soldati ad arrestarlo e non sapeva perché l'aveva fatto!
Non è tutto! I sinedriti, che nella casa di Caifa avevano condannato a morte Gesù per bestemmia, con un incredibile voltafaccia cambiarono allora il capo d'accusa imputando Gesù di gravi reati contro il potere imperiale di Roma. Insomma una farsa in piena regola! Scrive Luca: "...lo condussero da Pilato e cominciarono ad accusarlo: «Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo re» (Luca 13,2). In altre parole, ti denunciamo un Messia, pretendente al trono dì Israele, un nemico mortale di Roma. E di fronte all'incredulità del prefetto: «Non trovo nessuna colpa in quest'uomo» (Luca 23,3) nonostante le ammissioni esplicite di Gesù allo stesso Pilato di considerarsi il Re dei Giudei, essi rincararono la dose: «Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea fino a qui»" (Luca 23,55). Più ribelle di così! Altro che un predicatore di pace e di non-violenza!
I colpi di scena non sono ancora finiti. Ci pensa Luca, il più fantasioso dei quattro evangelisti, a presentarci il prossimo.
Gli altri tre evangelisti a questo proposito sono completamente muti. Si tratta del trasferimento di Gesù davanti ad Erode Antipa, figlio di Erode il Grande. Quando Pilato venne a sapere che Gesù proveniva dalla Galilea, sottoposta alla giurisdizione di Erode, cercò di scaricare su di lui, presente in quel momento a Gerusalemme, la responsabilità di giudicare Gesù.
Altra assurdità in quanto l'imputato deve sempre essere giudicato nel luogo in cui ha commesso il reato non in quello della sua provenienza. Comunque Erode, deluso per il comportamento di Gesù (aveva rifiutato di compiere prodigi in sua presenza), lo rispedì a Pilato senza emettere alcun verdetto contro di lui e limitandosi solo a schernirlo.
Il processo continuò con Gesù chiuso nel più stretto silenzio (forse nell'aspettativa che il popolo si sollevasse e lo liberasse dai sacerdoti e dai romani) e, nonostante il procuratore romano avesse dichiarato di non trovare in lui nessuna colpa ed Erode lo avesse rispedito senza riconoscergli alcun reato, si concluse con un'assurda condanna a morte di Gesù "per innocenza" al solo scopo (vorrebbero farci credere i Vangeli) di accontentare i giudei che lo accusavano di blasfemia.
Una autentica assurdità. Il Diritto Romano, cui ogni "Legatus Augusti pro praetore" doveva rigorosamente adeguarsi, imponeva l'eliminazione di chiunque avesse apertamente contestato il dominio romano. Stando dunque ai Vangeli, la personalità di Pilato ci appare pavida, cedevole e totalmente stupida, in contrasto con quanto ci tramandò di lui la storia.
Il re Agrippa I, che non era certo uno stinco di santo e che fece decapitare l'apostolo Giacomo, figlio di Zebedeo, e forse anche il fratello Giovanni, considerava Pilato, in una sua lettera a Filone, un "uomo rigido, crudele e spietato". Filone stesso, contemporaneo di Gesù, rincara la dose accusando nei suoi scritti il prefetto romano di "reiterati e sistematici massacri di persone senza processi né condanne".
A dimostrazione di ciò vale la pena di ricordare un solo episodio. Quando Pilato mise mano al tesoro del Tempio per costruire un acquedotto, prevedendo la rivolta popolare mescolò alla folla i suoi soldati travestiti perché potessero massacrare, a bastonate, i capi dei ribelli, come ci racconta Giuseppe Flavio: “con l’ordine di non usare le spade, ma di picchiare i dimostranti con bastoni [..]. I Giudei furono percossi e molti morirono per i colpi ricevuti, molti calpestati da loro stessi nel fuggi fuggi" (Giuseppe Flavio, Guerra Giudaica, II, op. cit.).
Ciò accadde nell'anno 30 d.C., quindi in prossimità della crocifissione di Gesù. Nel 36 d.C. a causa della sua ferocia vendicativa, Pilato fu destituito per ordine del legato di Siria Aulio Vitellio (poi imperatore) e processato. Quindi, era un uomo crudelissimo e determinato, per nulla corrispondente a come ce lo rappresentano i Vangeli. Una cosa è certa: nessun governatore romano si sarebbe lasciata imporre una decisione, come quella di condannare a morte Gesù, dagli schiamazzi della folla, ed è altrettanto certo che non avrebbe mai potuto emettere una sentenza di morte se non fosse stata giuridicamente motivata da accuse, riconosciute fondate, di rivolta politica antiromana e di sedizione armata. Quindi, Pilato non avrebbe mai potuto far giustiziare barbaramente sulla croce Gesù se fosse stato un innocuo pacifista disarmato, che predicava un messaggio puramente spirituale, e i soldati romani non lo avrebbero trattato con dileggio, come ribelle pericoloso, come sedicente “re dei giudei”, se fosse stato un vero messaggero di amore universale.
Singolare è stato il trattamento subito da Pilato da parte della Chiesa pre-costantiniana, la quale, per ingraziarsi Roma, giunse quasi a santificarlo insieme alla moglie Procla o Procula (ed è tuttora canonizzato sia dalla Chiesa Copta, sia da quella Etiopica).
Ma, dopo il trionfo del cristianesimo, secondo Eusebio di Cesarea, venne fatto morire nei modi più atroci: decapitato, annegato nel Tevere, perseguitato da frotte di demoni, e così via.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)