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giovedì 26 febbraio 2015

Il primato papale contraddice le concezioni di tutti gli antichi Padri della Chiesa. 201

Il più antico elenco a noi noto dei vescovi romani, l’annuario ufficiale dei Papi,
riporta quale primo vescovo della città un certo Lino che avrebbe ricevuto l’incarico dell’ufficio episcopale addirittura da Pietro e Paolo. Successivamente Lino venne retrocesso al secondo posto per consentire all'apostolo Pietro di essere considerato il primo vescovo di Roma. Ma questo elenco papale, il celebre Liber Pontifìcalis,
messo insieme intorno al 160 da uno straniero, il cristiano d’oriente Egesippo, sulla cui vera identità si nutrono pesanti dubbi, secondo molti storici sarebbe del tutto inattendibile.

Persino taluni dotti cattolici devono ammettere che nella prima parte, quella più antica, il libro pontificale è una contraffazione che non offre nulla all’attenzione dello storiografo. Anche gli anni dei singoli episcopati calcolati fino al 235 sono arbitrai e del tutto approssimativi. A ciò si aggiunga che i vescovi di Roma per più di due secoli non si interessarono mai della presunta introduzione del primato ad opera di Gesù. Anzi tutta quanta la Chiesa antica nulla sapeva di un primato onorifico e giurisdizionale del vescovo di Roma. Insomma, i più antichi vescovi di Roma non furono «Papi» e nemmeno vollero esserlo; fu solo nel corso di un lungo periodo storico che crebbero le pretese egemoniche dei loro successori, e trascorsero secoli prima che avanzassero la pretesa alla guida universale della Chiesa.

Su imitazione dell’amministrazione imperiale romana, nel corso del III secolo ai vescovi delle capitali delle provincie, i Metropoliti, venne riconosciuto il predominio sugli altri vescovi, per cui singole sedi episcopali guadagnarono via via un’importanza particolare. In tal modo, ad esempio, il vescovo di Alessandria godeva di un’autorità superiore sui circa cento vescovi d’Egitto, quello di Cartagine su quelli africani, quello di Antiochia su gran parte dell’episcopato siriaco, quello di Roma sulla Chiesa italiana, ma non sul resto dell’Occidente.

Ma poiché Roma era da secoli considerata la capitale del mondo, nel IV secolo tale privilegio onorifico cominciò ad essere attribuito anche alla Chiesa romana. Ma ancora agli inizi del V secolo il Papa Anastasio si considerava capo
solo dell’Occidente, e fino a Leone I (440-461) i vescovi romani perseguirono il consolidamento del loro Patriarcato sull’Occidente piuttosto che il primato sull’intera
comunità. Leone I , per primo elaborò la teoria del primato papale basandosi sul Canone VI di Nicea, che in una traduzione latina, risalente agli anni successivi al 445, reca l’intitolazione "De primatu ecclesiae Romanae" e sostiene già nella prima frase che la Chiesa romana possedeva da sempre il primato (primatum) su tutti i vescovi cristiani. Ma questo canone è considerato un falso
.
Però, proprio durante il pontificato di Leone I, il Concilio di Calcedonia del 451 - con
circa seicento vescovi il più grande della Chiesa antica - stabilì nel Canone 28
l'equiparazione dei vescovi romani e di quelli costantinopolitani. Infatti, dopo il trasferimento a Costantinopoli della residenza imperiale, il Patriarca della nuova capitale divenne un pericoloso avversario del vescovo di Roma, anche perché la Chiesa d’Oriente non pensò mai di riconoscere la superiorità di quella romana.







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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)