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venerdì 20 marzo 2015

36 - “L'invenzione del cristianesimo” - Parte seconda. La Parusia e la nascite del cristianesimo giudaico. 2

Col passare del tempo i cristiano-giudei si divisero in due schieramenti: i nazirei giudei e quelli ellenisti. Il primo gruppo era costituito da ebrei nati e residenti in Palestina; il secondo dagli ebrei della diaspora, fortemente ellenizzati, rientrati a Gerusalemme.
Pur nella comunanza della stessa religione, erano diversi per la lingua usata (aramaico per i primi, greco per i secondi). Uno dei capi degli ellenisti era Stefano, giovane dotato di un'oratoria straordinariamente efficace. Costui, sfoggiando una gran dottrina ricca di citazioni e reminiscenze bibliche, attaccò ripetutamente i sadducei e i farisei con l'accusa di aver tradito Gesù, consegnandolo ai romani. Ritenuto blasfemo per le sue accuse, e per aver dichiarato di aver visto, in una visione celeste, il Messia Martirizzato assiso alla destra di Dio Padre in attesa di ritornare sulla Terra per dare inizio al nuovo Regno d’Israele, fu lapidato dalla folla inferocita (senza che i romani intervenissero minimamente ad impedirlo, a dimostrazione che gli ebrei erano liberi di eseguire sentenze di morte per motivi religiosi e non dovevano ricorrere al prefetto romano).
I cristiano-ellenisti subirono allora una dura persecuzione, soprattutto per opera di un giovane fariseo della diaspora, chiamato Shaul, poi conosciuto come Paolo di Tarso (il San Paolo della Chiesa). Molti furono arrestati e condannati a morte, altri si salvarono rifugiandosi in Asia ove crearono nuove comunità ad Antiochia, a Damasco e a Cipro. Così il cristianesimo cominciò a diffondersi anche tra gli ebrei della diaspora che erano circa tre milioni sparsi nelle varie contrade dell'impero romano ed erano rimasti, più o meno, fedeli all'osservanza della legge ebraica. Il cristianesimo era considerato da costoro un completamento della legge mosaica e nessuno di essi ventilava l'ipotesi che fosse una nuova religione. Saranno questi cristiani ellenisti, fuoriusciti dalla Palestina, che, come vedremo nel proseguo del libro, daranno origine al nostro cristianesimo quando Paolo ne diverrà il capo indiscusso.
Da Antiochia alcuni ebrei cristiani si trasferirono a Roma, che allora annoverava una grossa comunità ebraica, concentrata soprattutto nei quartieri più disagiati di Trastevere, ove svolgeva i commerci minuti e l'artigianato minore.
A dar credito ad Orazio e a Giovenale, importanti poeti latini, questa comunità era piuttosto detestata dalla maggioranza dei romani. I nuovi arrivati non furono bene accetti dai loro connazionali che mal sopportavano il nuovo movimento messianico da loro propagandato.
Gli ebrei della diaspora, infatti, più o meno integrati coi gentili, non condividevano le deliranti aspettative messianiche dei correligionari rimasti in Palestina, anzi le rigettavano con fastidio, consapevoli della loro pericolosità politica. Essi avevano accettato l'impero romano come un dato di fatto e il messianismo era chiaramente incompatibile con questa loro accettazione e con l'esenzione, loro concessa dai romani, di quanto potesse essere contrario alla loro fede.
Vedremo in seguito che questo gruppo, pur esiguo di cristiani, darà luogo a grossi disordini nella capitale e costringerà l'imperatore Claudio a cacciarli da Roma nel 41. Infatti, il partito nazireo di Gerusalemme veniva considerato sovversivo dai romani, come dalla gerarchia sadducea ufficiale di Gerusalemme.
I pagani non furono toccati da quella prima fase evangelizzatrice che si svolgeva esclusivamente nell'interno delle sinagoghe, finché avvenne che alcuni ebrei ellenisti di Antiochia, accanto ai correligionari, inserirono nel loro gruppo anche alcuni pagani, chiamati "timorati di Dio", che frequentavano le sinagoghe come uditori, essendo attratti dal monoteismo e dalla profonda eticità dell’ebraismo, e questi nuovi fedeli furono chiamati per la prima volta cristiani. Questa parola greca significava messianisti. Cristo (Christòs), infatti, era la traduzione in greco di Unto, Liberatore d'Israele, in altre parole, Messia.
La Chiesa di Gerusalemme, temendo che il coinvolgimento dei pagani potesse creare delle deviazioni nell'osservanza della Legge, inviò il levita Barnaba a studiare la situazione. Questi non riscontrò alcuna irregolarità e tranquillizzò Gerusalemme. Avvenne così la prima cauta apertura verso il mondo dei gentili, vista però con un certo fastidio dalla maggior parte dei cristiano-giudei di Gerusalemme, convinti che l'aspettativa messianica riguardasse esclusivamente il popolo eletto. I cristiano-giudei, dopo l'allontanamento dei cristiano-ellenisti più radicali guidati da Stefano, vissero indisturbati a Gerusalemme, protetti dai farisei e dal loro capo Gamaliele, che li stimava per la loro ligia osservanza della Legge, e durante questo periodo di tranquillità poterono incrementare i loro i proseliti fino a raggiungere alcune migliaia.
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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)