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giovedì 12 marzo 2015

Nei primi due secoli, talvolta i vescovi di Roma furono contestati da gran parte della cristianità. 203

Non solo i vescovi di Roma per più di due secoli non si interessarono mai della presunta introduzione del Primato di Pietro, ma talvolta furono anche pesantemente criticati dal resto della cristianità. Nel precedente post si è parlato di Stefano I per la sua opposizione al battesimo degli eretici scoppiata tra Roma e Cartagine dal 255 al 257 e la dura contestazione nei suoi confronti dei vescovi africani e asiatici e perfino occidentali con epiteti spesso ingiuriosi e il suo paragone con Giuda.

Un altro scontro, molto duro, tra il vescovo di Roma e i cristiani dell'Asia Minore si verificò in occasione della polemica sulla datazione della festività pasquale, che, iniziata da Sisto I intorno al 115, proseguì per lungo tempo nella cristianità in epoche diverse. L'apice del conflitto avvenne verso la metà deI II secolo quando il vescovo Policarpo di Smirne, si recò spontaneamente a Roma per trovare un compromesso. Ma la sua missione fallì. La diatriba riesplose alla fine del Il secolo quando un altro vescovo di Roma Vittorio I scomunicò l’intera Chiesa d’Asia Minore, la quale, da parte sua, non attribuì gran peso alla faccenda.

Il Vescovo Policrate di Efeso, capo di quella Chiesa, si limitò a scrivere a Roma:
«Fratelli, io, invecchiato nel Signore da 65 anni, io, che ho avuto rapporti coi fratelli di tutto il mondo, io, che ho letto a fondo tutta la Sacra Scrittura, non mi lascerò atterrire da alcuna minaccia; infatti, uomini di me più grandi hanno detto: “Bisogna obbedire più a Dio che non agli uomini».

La prepotenza romana suscitò allora una resistenza pressoché universale: le comunità cristiane si levarono ovunque sdegnate per il comportamento di
Vittorio. Si unirono alla protesta anche molti vescovi occidentali, fra i quali quello
di Lione, il Dottore della Chiesa Ireneo . I cristiani d’Asia Minore
conservarono ancora per due secoli le loro specificità rituali finché l'imperatore Costantino non le abrogò su istigazione di Roma. Ma durante questo conflitto
coi colleghi d’Asia nessuno dei vescovi romani fece mai menzione del celebre passo di Matteo, tirato in ballo e utilizzato propagandisticamente per la prima volta da Stefano I (254-257) durante la diatriba sul battesimo degli eretici.

Fu solo un decreto del V secolo, attribuito al Papa Gelasio I (492-496), ma probabilmente più antico, riguardante le opere permesse e proibite, che contiene la prima attestazione a noi giunta, nella quale il passo di Matteo. (16,18 sg.) viene apertamente considerato il documento istitutivo del primato papale.









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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)