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venerdì 26 giugno 2015

64- “L'invenzione del cristianesimo” - Parte quarta. Le persecuzioni. 1

La Chiesa ci ha trasmesso un'immagine deformata e antistorica delle persecuzioni da essa subite dagli Imperatori.
Purtroppo, i testi storici che vanno per la maggiore, hanno convalidato questa verità di regime e accettato, senza una seria indagine testuale, quella che David Donnini (Cristo, Una Vicenda Storica da riscoprire, R. Massari Editore, Bolsena (VT), 1994) chiama la "retorica vittimistica delle persecuzioni”, per cui dobbiamo ammettere che molto di ciò che ci è stato tramandato su di esse è quasi completamente falso e del tutto leggendario perché fortemente condizionato sia dalla tradizione cattolica, sia da opere storico-letterarie di dubbio valore. Chi conosce, anche approssimativamente, la storia antica sa che i romani, senz'altro duri e spietati sotto il profilo politico, erano del tutto tolleranti in campo religioso e ammettevano che i diversi popoli sottomessi seguissero liberamente i loro culti e le loro tendenze religiose.
Roma stessa era un coacervo di centinaia di divinità, spesso importate dai soldati da ogni parte dell'Impero, e tutte avevano il loro tempio e i loro seguaci. Nessun storico romano accenna mai a persecuzioni di tipo esclusivamente religioso. Solo se un culto si profilava ostile al potere costituito o palesemente immorale, poteva subire delle censure.
Com'è possibile allora che una religione che predicava la non-violenza, l'amore del prossimo (e perfino dei nemici) e la fratellanza universale (imperativi etici fortemente condivisi anche da molti pagani), e per di più dichiarava che bisognava dare a Cesare quello che era di Cesare (cioè riconosceva implicitamente il potere imperiale e ammetteva il dovere di pagare le tasse), subisse delle dure repressioni da parte degli Imperatori? Forse che questi erano disturbati dal fatto che il suo fondatore si proclamava figlio di Dio e vantava la sua resurrezione? Ma neanche per sogno! Erano così anche le altre divinità che andavano allora per la maggiore come Osiride, Attis, Mitra, Eracle e così via. E allora? La verità è che la religione non c'entra niente con queste persecuzioni; c'entra, invece, e come, la politica. Per i romani la parola "cristianesimo", che traduceva letteralmente il termine ebraico "messianismo”, era sinonimo di fondamentalismo nazional-religioso, cioè di una forma di fanatismo patriottico-giudaico inteso a scalzare il potere di Roma.
Infatti, il cristianesimo del primo secolo della Chiesa di Gerusalemme, prima che Paolo lo demessianizzasse e lo degiudeizzasse, non era affatto simile al nostro ma fortemente legato alle istanze esseno-zelote e i romani lo sapevano. Perciò essi non perseguitavano la nuova ideologia religiosa bensì l'ostilità contro Roma, unita alla disobbedienza civile, che essa implicava.
I cristiani, infatti, rifiutavano il servizio militare, atto considerato dai romani intollerabile e antipatriottico, non frequentavano né il circo né il teatro, e nemmeno le feste e le processioni pagane, cioè si autoescludevano dalla vita civile.
Inoltre, predicavano che solo il loro Dio era vero e che tutti gli altri dèi, adorati dai pagani, erano falsi e andavano distrutti, e si dedicavano ad un proselitismo accanito, inconcepibile per il politeismo del tempo. Infine, invocavano fanaticamente la fine del mondo e consideravano quella raccapricciante catastrofe, che avrebbe arrecato interminabili tormenti, la giusta punizione per la malvagità dei pagani e invece per loro l'inizio di una eterna felicità.
Si definivano, come gli ebrei, il popolo eletto, il popolo santo e, in contrapposizione, consideravano tutti i pagani degli iniqui peccatori. Ecco perché erano considerati nemici degli dèi e li si accusava di ateismo e di empietà mostruose, come incesto, omicidi rituali e cannibalismo (Eusebio di Cesarea, op. cit. 4,7; 11 e sgg.).
Il crimine più grave, però, di cui erano accusati i cristiani, riguardava il rifiuto del sacrificio alle divinità imperiali. I romani attribuivano al favore di queste divinità i propri successi militari e politici e ritenevano il sacrificio loro attribuito una manifestazione di patriottismo. Chi si sottraeva diventava nemico della comunità e metteva in pericolo la stabilità dello Stato. L'ordine di sacrificare alle divinità imperiali era quindi un atto di lealtà politica che doveva garantire l’unità interna dell’Impero e non intaccava minimamente l’esercizio libero della religione personale. Ma per i cristiani l’apoteosi di una persona umana era impensabile e considerato un atto di apostasia. Quando nuclei sempre più numerosi di cristiani si opposero al culto imperiale, scattarono inevitabilmente le persecuzioni che non rivestirono mai un carattere religioso ma esclusivamente politico.
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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)