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venerdì 3 luglio 2015

66- “L'invenzione del cristianesimo” - Parte quarta. Le persecuzioni. 3

Tutti i Padri della Chiesa hanno enormemente esagerato sia il numero delle persecuzioni, sia quello dei martiri, e hanno inventato anche la favola che i cristiani dovevano nascondersi nelle catacombe per celebrare i loro riti.
Oggi, però, nessun storico serio può avvallare una tale leggenda perché in realtà le catacombe (antichi cimiteri romani in disuso) furono dai cristiani usate solo per praticare i loro misteri separatamente dal “volgo profano” (in quanto si prestavano allo scopo), e per poter seppellire i loro morti con esequie religiose.
In realtà, nei primi due secoli gli imperatori diedero poco peso al fenomeno cristiano e non venne ucciso alcun vescovo. Con Traiano e Adriano e i loro successori è documentato il martirio di Ignazio, vescovo di Antiochia e alcune esecuzioni ordinate da Plinio.
Le dieci persecuzioni vantate dalla Chiesa ebbero tutte breve durata e causarono un numero relativamente basso di martiri autentici. Ce lo confessa Origene quando dichiara che il numero dei martiri cristiani «è piccolo e facile da contare» (Origene op. cit. 3,8). Durante le persecuzioni la maggior parte dei cristiani si salvò spesso con la fuga, molti però abiurarono, soprattutto sotto la persecuzione di Decio. Questa fu la prima persecuzione generalizzata e pianificata.
Decretata nel 250 allo scopo di procedere al sequestro dei numerosi beni ecclesiastici, considerati illegali in quanto la Chiesa non aveva personalità giuridica, suscitò molto panico ma le sentenze capitali furono piuttosto poche. Molti cristiani abiurarono (lapsi) sacrificando davanti ai simulacri degli dei e dell'imperatore, altri si limitarono a gettare l’incenso sulle braci e infine, i più furbi, conosciuti col nome di libellattici, ottennero con la corruzione un falso attestato di sacrificio o fecero sacrificare dai propri schiavi al loro posto. Solo pochi affrontarono il martirio o si mimetizzarono in luoghi solitari. I cristiani infedeli si pentirono e tornarono a schiere nel seno della Chiesa, che si affettò a cancellare il peccato di apostasia.
Neppure la persecuzione di Diocleziano fu grande come attesta la Chiesa. Ci furono dei confessori che vennero banditi o condannati ai lavori forzati nelle miniere, ma le esecuzioni capitali furono pochissime, e invece tante le abiure, come quella dello stesso papa Marcellino.
La Chiesa incitava al martirio affermando che esso equivaleva ad un secondo battesimo che purificava da ogni peccato e consentiva ai martiri di salire dritti al cielo.
Un promessa analoga fu fatta, in seguito, anche per i crociati che morivano in battaglia. Dopo che il Cristianesimo fu riconosciuto e legalizzato da Costantino, la Chiesa si prodigò a redigere gli "Atti dei Martiri" raccogliendoli nel "Martirologio": una sorta di calendario liturgico ufficiale in cui vengono descritte le storie di un numero esagerato di martiri di tutte le epoche. Si tratta di un colossale imbroglio.
Gli episodi persecutori veri e propri furono limitati e mai giustificarono l'ipotesi di un olocausto. Come si spiegherebbe, altrimenti, il fatto che il cristianesimo precostantiniano abbia potuto espandersi in tutte le contrade dell'Impero e consentire il proliferare di comunità di fedeli, della loro gerarchia di diaconi, presbiteri e vescovi e una produzione vastissima di testi teologici e storici da parte di uomini di cultura, come Clemente, Ireneo, Teodoreto, Tertulliano ed Eusebio?
La Chiesa – come abbiamo accennato più volte in precedenza – fin dalle sue origini ha distrutto tutte le opere contrarie alla sua ideologia e ai suoi interessi politici. Così, riguardo alle persecuzioni, ci mancano quasi completamente i testi degli editti anticristiani imperiali. Infatti, la loro raccolta, compilata dal giureconsulto Domizio Ulpiano, è stata fatta sparire dalla Chiesa postcostantiniana in quanto contraddiceva i molti falsi storici, costruiti intorno alle persecuzioni, a cominciare da quelli tramandatici da Eusebio nella sua Storia ecclesiastica, privi di riscontri.
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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)