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martedì 7 luglio 2015

67- “L'invenzione del cristianesimo” - Parte quarta. Costantino e il Concilio di Nicea. 1

L'imperatore Costantino, che con l'editto di Milano del 313 diede la libertà di culto ai cristiani e pose fine alle loro persecuzioni, era un seguace del culto solare del Dio Mitra, diffusissimo in oriente ed anche a Roma. Dovendo affrontare uno scontro durissimo col suo rivale Massenzio, chiese ed ottenne l'appoggio dei cristiani del suo esercito, e, come contropartita, riconobbe loro la libertà di religione. Ricorrendo alla pia favoletta della visione di Costantino, la Chiesa trasformò la sua vittoria su Massenzio in una vittoria di Dio sul paganesimo. In realtà Costantino, spietato e lucido politico, si era reso conto che il cristianesimo era ormai vincente e che invece di combatterlo, come aveva fatto poco prima Diocleziano inutilmente, conveniva istituzionalizzarlo e in tal modo controllarlo e assoggettarlo all'Impero. Da nemico, trasformarlo in un alleato sottomesso onde togliergli ogni residua carica eversiva. D'altra parte la dicotomia tra il cristianesimo e il giudaismo messianico era ormai conclusa da molto tempo ed era divenuta irreversibile. Secondo l'esortazione paolina i cristiani dovevano sottomettersi alle autorità temporali, accettare le disuguaglianze sociali, obbedire ai magistrati e ai funzionari dell'Impero e riconoscere la schiavitù. Erano quindi totalmente inseriti nell'ordinamento dello Stato e non destavano più preoccupazioni di ordine politico e sociale. Una volta riconciliatosi col cristianesimo, Costantino favorì la Chiesa cattolica con ogni sorta di privilegi e con beni e donazioni. A sue spese fece edificare molte chiese dotandole di vaste proprietà; donò al vescovo romano il palazzo del Laterano, che divenne per molti secoli la sede papale; esentò il clero cattolico da ogni gravame fiscale ed equiparò la legislazione ecclesiastica a quella imperiale.
Nel 321 concesse ai privati il permesso di fare donazioni alla Chiesa, accrescendone possedimenti e ricchezza. La Chiesa, pienamente mondanizzata, perché divenuta ricca e potente, si trasformò rapidamente in una istituzione imperiale, sotto la supervisione dell’Imperatore, e l'alleata più sicura di uno Stato che sfruttava pesantemente i suoi sudditi.
Nel 325, volendo dare una sistemazione definitiva al cristianesimo, Costantino, pur non essendo nemmeno battezzato e rivestendo la massima carica religiosa pagana di Pontifex Maximus (che conserverà fino alla morte), convocò e presiedette personalmente il primo concilio ecumenico della Chiesa che porta il nome di Concilio di Nicea. I vescovi colà convenuti, dai più lontani angoli della cristianità, finirono per redigere un testo, denominato "Credo degli Apostoli", col quale venne codificata l'ortodossia cristiana. Dei trecentotredici vescovi che parteciparono a questo primo grande Concilio della Chiesa solo sette erano occidentali. Si trattava di un vescovo gallico, uno calabrese, uno pannonico, uno spagnolo, uno di Cartagine e due preti romani delegati in rappresentanza del vescovo di Roma, Silvestro. Tutti gli altri erano orientali. Ciò a significare la scarsa importanza numerica e dottrinaria della Chiesa romana e d'Occidente in quel momento. Il livello intellettuale di molti padri sinodali era piuttosto basso se un contemporaneo li bollò come dei veri e propri cretini (Socrate Scolastico, Storia della Chiesa 1,8).
D'altra parte questi padri ebbero un comportamento molto strano: si lasciarono subito plagiare dalla pompa e dalle adulazioni dell'Imperatore, dai suoi appellativi di “amati fratelli” e nel redigere il "Credo degli Apostoli", una specie di "magna charta" del cristianesimo, si lasciarono imporre da Costantino i principi che egli riteneva indispensabili perché la nuova religione fosse una continuazione di quella pagana, cara alla Roma imperiale.
Così Gesù, sulla falsariga degli dèi pagani del vicino Oriente, protagonisti di un'incarnazione terrena e di una morte-resurrezione rituale, con una votazione abilmente pilotata dall'Imperatore, ma nonostante ciò appena risecata, fu proclamato Dio incarnato, partorito da una vergine, esattamente come Horo, l'eroe solare egiziano figlio della vergine Iside, come Adonis, l'eroe solare persiano figlio della vergine Astarte. Il Cristo cessò così, per sempre, di essere l'Unto di Jahvé per diventare definitivamente uguale a Dio nella natura e nella sostanza (“homousia”) e perdere ogni riferimento al Messia delle profezie bibliche.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)