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venerdì 4 marzo 2016

18 – Il falso Jahvè. La religione popolare dell'antico Egitto. 2

Tutti i grandi sapienti dell'antichità, non solo d'Egitto, furono sempre consapevoli che la religione popolare politeista era un'illusione fittizia, però indispensabile sia al popolo sia allo Stato. È la teoria che va sotto il nome di evemerismo, dal nome di Evemero, il filosofo greco che la formulò e di cui conserviamo un frammento dell’opera "Hierà Anagraphè". Cicerone tratta ampiamente questa teoria nel "De natura deorum". Lucrezio nel "De rerum Natura" definisce la religione popolare una “pia fraus” (una pia frode) e la considera una finzione politica formulata da saggi legislatori per incutere il necessario rispetto per lo Stato e per le sue leggi. Anche Tito Livio è della stessa opinione laddove nelle sue "Historiae" ci racconta come Numa Pompilio fondasse le istituzioni nell'antica Roma. In tempi più recenti, Niccolò Machiavelli nei suoi "Discorsi su Livio" considerò le religioni pagane delle vere e proprie istituzioni politiche.
Ma la sintesi più chiara su quest'argomento ci è fornita dal frammento di Crizia, antico filosofo greco, (fr. 43 F 19 Snell) che ricostruisce la storia dell'umanità in tre stadi: 1) lo stadio primitivo di barbarie naturale in cui gli uomini vivevano in un stato di totale anarchia e di atroci contese; 2) lo stadio dell'introduzione di leggi imposte con la coercizione che non riuscirono a instaurare la giustizia perfetta perché i delitti nascosti restavano impuniti; 3) l'invenzione della religione che, con l'idea dell'onniscienza divina cui nulla sfuggiva, prevedendo un premio per i virtuosi e un castigo per gli empi, mise a freno i crimini occulti e conferì nuova autorità alle leggi.
Ma perché la religione potesse avere un effetto benefico occorreva che rimanesse segreta la sua falsità che, se rivelata, le avrebbe tolta ogni credibilità. Ecco quindi l'importanza del segreto religioso, senza il quale non avrebbero potuto esserci né società civile né ordinamento politico. Sisifo, nel frammento di Crizia, spiega che il popolo doveva essere mantenuto nel timore degli dèi affinché fosse indotto ad obbedire alle leggi e a sopportare lo Stato, e doveva essergli celata quella verità la cui scoperta avrebbe condotto al crollo delle istituzioni.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)