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martedì 10 maggio 2016

37– Il falso Jahvè. L'Esodo 9

Spencer interpreta l'Arca dell'Alleanza come la combinazione di una cista mysterica e di un sarcofago egizio. In realtà, questa sacra cassapanca (un metro circa di lunghezza e poco meno per altezza e larghezza), costruita ai piedi del Monte Sinai dall'artigiano Bazeleel su indicazioni di Mosè affinché contenesse le Tavole della Legge, somigliava molto agli scrigni cerimoniali egiziani quali possiamo vedere nei dipinti. Era sormontata da due cherubini ad ali spiegate, rivestiti d'oro (simili a Maat, la dea egizia della verità e della giustizia che aveva le ali spiegate) (Esodo, 25,18-22). Queste immagini contravvenivano alla rigorosa iconoclastia di Mosè.
All'Arca vennero riconosciuti poteri straordinari dagli scribi che parecchi secoli dopo redassero la Bibbia. Nel deserto l’Arca viaggiava davanti agli ebrei per uccidere i serpenti e gli scorpioni e spianare le montagne, e in battaglia scatenava il fuoco celeste per consentire alla stirpe d'Israele di mietere un successo bellico dietro l'altro.
Anche i Keruvim trasgredivano in modo palese il rigoroso aniconismo mosaico. La loro apparenza esteriore dimostrava l'origine idolatra nel modo più evidente: avevano un aspetto composito al modo degli dèi cananei e dei geroglifici egizi. Ezechiele li descrive come “creature” o “animali” ciascuno con il volto di un uomo, di un leone, di un toro e di un'aquila. Come tali essi si ripresentano nell'Apocalisse (4,6-7), mentre nel Nuovo Testamento sono diventati i simboli dei quattro evangelisti.
Mosè dovette dunque pagare un prezzo estremamente alto per aver reso di dominio pubblico il segreto dei grandi misteri che s'incentrava nell'unità di un Dio ignoto, astratto, spirituale, anonimo e invisibile. Non essendo in grado di trasformare in conoscenza razionale la fede cieca e l'obbedienza assoluta a leggi rituali insensate, fu costretto a ridurre la sua idea di un Dio sublime, propria dei misteri egizi, alla dimensione di una divinità tutelare nazionale, conformemente alle capacità di comprensione del popolo, e a celare la verità sotto l'egida protettiva di istituzioni e prescrizioni cultuali. Mosè non rivelò la verità, soltanto la "transcodificò", come diremmo oggi, per trasmetterla in forma di un corpus pubblico di adempimenti rituali, non soggetto ad alcun obbligo di segretezza.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)